lunedì 25 dicembre 2017

LA MERAVIGLIOSA FAVOLA DEL NATALE




Devo dirvi che ho un ricordo bellissimo dei natali della mia infanzia. Da noi si usava scrivere una letterina a Gesù bambino. Il giorno di Natale la si metteva sotto il piatto del babbo. Chissà perché. Lui la leggeva con molta attenzione. C’erano i nostri proponimenti lì dentro. Ma soprattutto i nostri desideri. Finito di leggere lui si alzava e tornava con due grossi pacchi: uno per me e l’altro per mia sorella. E la festa era grande. Grazie al bambinello, che ce li aveva portati durante la notte.
Un retro pensiero, però, mi guastava la festa. Ma che crudeltà era mai questa, da far andare in giro per le case, al freddo,  un bambino appena nato? A me Gesù bambino faceva un po’ pena.
Ho dovuto aspettare l’età della ragione, per sapere che in realtà i pacchi li porta Babbo Natale. Ma questa cattiveria mi ha segnato per tutta la vita. Perché non si può dire la verità ai bambini?
Tanti bei regali a tutti i fanciulli del mondo. Che siate nati islamici, ebrei, cristiani, induisti o senza religione, Babbo Natale non fa distinzione.

venerdì 22 dicembre 2017

UN PARTITO CHE NASCE CON LE IDEE CONFUSE




Liberi e uguali. Una enunciazione che toglie da una parte quello che concede con l’altra. Come definire altrimenti che contraddittorio e velleitario, questo che nasce come il partito che dovrebbe rinnovare la sinistra?
L’uguaglianza non si concilia con la libertà. Perché è un termine astratto, introdotto più dall’ideologia che dalla realtà.  Nella vita sono piuttosto in competizione le differenze tra gli uomini, che la loro somiglianza. Dunque, dove la libertà la fa da padrona, non può che prosperare la disuguaglianza. Mentre se gli uomini devono essere uguali, allora l’uguaglianza può essere ottenuta solo togliendo la libertà. Se non vogliamo parlare al vento,  bisogna allora introdurre la Giustizia. L’unico collante che può far convivere  le altre due, come il neutrone tiene insieme i protoni nel nucleo dell’atomo. La Giustizia rigorosa è l’unica forza che può impedire ai peggiori di emergere ed ai migliori di soccombere.

giovedì 7 dicembre 2017

MARILYN MANSON




Ora vi devo parlare di un personaggio che mi ha creato molta inquietudine. Per caso, ieri sera, inciampo su un canale e riconosco Bonolis, il presentatore. Davanti a lui c’è un tizio pieno di tatuaggi e truccato pesantemente. Ha il viso gonfio e l’occhio leporino.  Si esprime lentamente e porta una protesi ad una gamba. Vengo a sapere che si chiama Marilyn Manson. Sedicente satanista o presunto tale. Intanto, mentre sto scrivendo, la luce cala e presto avremo un temporale. La memoria mi scivola veloce al giorno precedente. Quando su un giornale leggo un appello singolare.  È il grido di dolore di un prete. Lo schianto di un tuono quasi mi assorda. Si tratta di un esorcista, che ammonisce Bonolis e la televisione italiana. L’appello è accorato e struggente. Il prete invita a non intervistare l’americano. Perché satana è sempre al lavoro, sostiene. Ora la pioggia batte dirotta sui vetri. Guardo fuori dalla finestra in cerca di una ispirazione. Devo concludere questo grafello. Dunque, c’è questo cantante eccentrico e poi c’è questo prete, che mi lascia talmente sconcertato da rovinarmi il sonno. Perché il primo recita, mentre il secondo fa sul serio. Ci crede davvero nel diavolo, lui.

martedì 28 novembre 2017

M’arcord




Ricordo i tetti e i cineri orizzonti
dei colli digradanti alle vallate;
ricordo i giorni caldi dell’estate
ed i pennacchi scuri sopra i monti.

La marna calcinata al solleone
ed i falaschi gialli dei dirupi
la corsa quotidiana e le persone
e i giorni della vita allegri o cupi.

Il tempo della prima sigaretta,
lo sguardo dell’amico più sincero.
Il primo giro sopra una lambretta
la vista dai torrioni al cimitero.

Il fuoco degli inverni sulle mani
ricordo, per i giochi sulla neve;
ricordo le speranze dei domani
e le ragazze con lo sguardo lieve.

Quella città, struggente e dolce era
nell’umido travaso di autunnali
caligini  fumanti, che spettrali,
dalle Cesane calavano di sera.

Ombre solinghe, sgusciate dai tuguri
o risvegliato il sonno dagli annali,
vedevi camminar rasente ai muri
avvolti nei velari tutti uguali.

Senza paura, allora, senza quei timori
che il cuore pompa quando il mondo è vuoto;
perché sentivi sempre dai rumori
che circolava il sangue nell’ignoto.

E la città pulsava ai tempi miei
scomparsi, ormai. Perché se’n te se acort
adess tle strad en vedi più i burdei
e sensa i abitant…  Urbin è mort.*

·         Traduzione
Perché se non ti sei accorto
adesso per strada non vedi più i bambini
   e senza gli abitanti… Urbino è morta.

martedì 14 novembre 2017

L'ELIMINAZIONE




Ieri allo stadio di San Siro ho visto due Italie.
Una era sul campo. Undici atleti che hanno lottato come leoni per vincere ed ai quali deve andare il nostro plauso. L’altra sugli spalti, sulla quale deve ritorcersi invece il biasimo di tutti i cittadini che non vi si riconoscono.
Solo la prima mi rappresenta. La seconda, almeno quella di coloro che hanno iniziato fischiando l’inno nazionale degli avversari, deve solo vergognarsi.
Pantofolai che credono di fare sport guardandolo alla televisione, facinorosi e violenti che non vedono l’ora di menar le mani, beoti e falliti che pensano di riscattarsi urlando ed inveendo allo stadio, non sono che l’espressione dell’Italia come è stata modellata da quelli che loro hanno votato: una massa di maleducati.
C’è una notizia che scorre sui giornali svedesi stamattina. L’allenatore della squadra che ci ha sconfitti, prima di lasciare gli spogliatoi, ha preso un sacco ed ha ripulito la stanza di tutte le bottiglie e le cartacce rimaste a terra. “Perché non bisogna lasciare sporco”, ha commentato. Ma è una notizia che forse nessun giornale italiano pubblicherà mai. Perché noi… siamo superiori.

lunedì 23 ottobre 2017

L'APPARENZA




Le generazioni che verranno saranno più fortunate. Perché per comprendere  la storia avranno a disposizione anche le immagini, e non solo i libri. Come sarebbe diverso, infatti, se anche noi potessimo vedere Caligola, mentre nomina senatore il suo cavallo.
I giovani di domani potranno farsi un’idea precisa del nostro tempo  molto meglio che con tante letture, le quali non possono trasmettere il calore e la complessità di una conversazione che si può osservare. Sarà sufficiente mostrare loro  qualche trasmissione televisiva. E chi meglio dell’esperto d’arte che calca le scene da qualche decennio, messo in onda con regolare ostinazione ancora oggi senza pudore, potrebbe rappresentarglielo?
Mi viene in mente una  trasmissione della quale non  ricordo il nome. Il nostro sedeva su una specie di trespolo, del tipo di quelli che usano gli arbitri di tennis. Stizzito dall’argomentazione di una invitata, evidentemente non condivisa, costui la interrompe con la sua consueta raffinatezza. E senza farla finire, le chiede brutalmente se conosce Vittorino da Feltre. Un personaggio naturalmente preso a caso, tra quelli doverosamente conosciuti da tutti gli italiani che hanno frequentato la scuola dell’obbligo.
Al sommesso diniego della signora, che di certo non si trovava lì per parlare di storia dell’arte, l’esperto fa immediatamente onore al suo nome, iniziando la tiritera che ormai lo contraddistingue: “ Capra, capra, capra, ….lei è ignorante come una capra!”.
Quale migliore immagine di un pubblico, in mezzo al quale forse nessuno conosceva la risposta, che sghignazza e ride a questo stratagemma dialettico della specie più disonesta, per descrivere l’abisso di ignoranza, volgarità e bassezza morale dell’Italia di oggi?
Poiché tutti sono esperti nel proprio campo e ignoranti in quello altrui, sarebbe stata la stessa cosa se un ciabattino avesse chiesto alla signora che cos’è una lesina. Ma non si sarebbe raggiunto lo stesso effetto. Perché pur trattandosi di due esperti, il primo dei quali soltanto si guadagna da vivere con la sua arte, mentre il secondo con quella degli altri, quest’ultimo è un personaggio noto, mentre il primo è un perfetto sconosciuto.
L’apoteosi della morale profonda del nostro tempo,  che chi non appare non conta nulla.

mercoledì 4 ottobre 2017

LE REGOLE NON SCRITTE




C’è qualcosa che suscita  interesse, nella recente vicenda dei docenti universitari che truccavano i concorsi. Non tanto nell’episodio in sé, che  non solleva alcuna meraviglia. Bensì nelle parole del cattedratico, proferite senza scrupolo alcuno in faccia allo stupefatto ricercatore.  “Non fare l’inglese, sono regole non scritte”.
Ora quando un docente universitario, per giunta di diritto, pronuncia parole simili, sorgono almeno due domande.
La prima attiene a come si guadagna da vivere. Se costui si comporta come il medico, che dice al paziente di non fumare con la sigaretta in bocca, perché lo paghiamo?
La seconda invece riguarda il valore intrinseco di tali consuetudini. Che peso hanno in una società le regole non scritte e come la influenzano?
Per quanto attiene alla prima domanda, se un ospedale assume un chirurgo, senza che questo lo sia, siamo davanti da una parte ad un ente pubblico degenerato e dall’altra ad un criminale truffaldino. E la cosa finisce lì. Ma se ad assumere chirurghi senza laurea fossero i migliori ospedali del paese, allora saremmo davanti ad un sistema studiato apposta. A chi giova dunque mantenere sulle cattedre delle mele marce, quali quelle che la guardia di finanza ha stanato di recente dalle università?
La questione sollevata dalla seconda domanda è però più stimolante, perché apre le porte a sviluppi di grande interesse.
Se un inglese vuole scoprire il peso che hanno in Italia le regole non scritte, venga in vacanza da noi. Poi faccia un bel giro nelle città dì’arte e attraversi fiducioso le strade sulle strisce pedonali. Lo scoprirà presto.
Non può essere questo un modo per valutare con precisione, direi in modo matematico, il grado di democrazia di un paese?
Democrazia deve essere infatti sinonimo di trasparenza. Vale a dire  la conoscenza universale delle regole che garantiscono la convivenza civile, mentre le leggi non scritte sono l’opposto della trasparenza.
Si prendano dei casi (A), diciamo tirati a sorte, e si vada a controllare in pratica se il rispetto delle regole stabilite permettono di ottenere il diritto al quale si aspira (B). Oppure se, nonostante le regole, occorre agire in qualche altro modo per ottenere meglio e prima quello che ci spetterebbe.  
Si ponga il numero dei risultati positivi (B) al numeratore ed il numero degli esempi verificati (A), al denominatore. Risolvendo la frazione si otterranno così dei numeri da 0,1 a 1.
1 per il massimo di trasparenza e 0.1 per i sistemi che ne sono privi. I valori intermedi daranno l’idea di quale tipo di democrazia esiste nel paese esaminato. Mentre se si ottiene uno zero sarebbe bene fare le valigie, perché saremmo di fronte ad un regime totalitario.
Ecco alcuni esempi:
1.    Concorsi pubblici.
2.    Assegnazione di pensioni di invalidità.
3.    Graduatorie per case di riposo.
4.    Accesso alle cattedre di religione.
5.    Fruibilità delle strutture sanitarie.
6.    Disponibilità degli asili.
7.    Iscrizione agli albi professionali.
8.    Concessione di autorizzazioni di qualsiasi tipo.
9.    Richieste di licenze di qualsiasi tipo.
10. Elargizione di sussidi vari.
Ognuno può divertirsi a trovarne altri e a dare risposte in base alla sua esperienza o a quella di conoscenti o amici. La democrazia italiana sarà in mano vostra.

sabato 9 settembre 2017

L’INTEGRAZIONE




L’integrazione non deve modificare il nostro stile di vita.

Se anche un solo cittadino fosse costretto a cambiare le proprie abitudini a causa di un migrante, non saremmo di fronte ad alcuna integrazione, ma alla disintegrazione del tessuto sociale esistente. Integrazione significa infatti inserzione, incorporazione, assimilazione di un individuo, di una categoria, di un gruppo etnico in un ambiente sociale, in un’organizzazione, in una comunità etnica, in una società costituita. Quale integrazione sarebbe quella dove invece la società costituita dovesse essere modificata dall’arrivo di nuovi individui?

La migrazione  non si può fermare.

Di fronte alla sfida che ci troviamo di fronte le persone reagiscono nei modi più disparati. C’è chi mette in primo piano solo le condizioni di vita di chi cerca di raggiungere l’Europa, e non si preoccupa d’altro. E c’è chi invece non accoglierebbe nessuno. Ma si tratta di posizioni estreme, scatenate dalla passionalità, e non hanno nulla a che fare con un giudizio ponderato.
La realtà è che nessuno mai potrà rimettere indietro l’orologio della storia, e che, volenti o nolenti, dovremo convivere con la presenza di etnie diverse dalla nostra. Ne consegue che se non saremo in grado di incanalare e gestire questo flusso, sarà esso a farlo e a cambiare radicalmente il nostro modo di vivere.

La vera integrazione richiede uno Stato che funzioni.

Come nessun gioco è possibile senza regole, così nessuna convivenza potrà realizzarsi senza leggi sicure, accompagnate dalla certezza di giuste sanzioni. Si tratta per l’Italia di una sfida epocale. Infatti a centocinquant’anni dalla sua unificazione, questo paese non possiede ancora uno Stato degno di questo nome.
Uno Stato democratico, per essere tale, deve essere amato dai propri cittadini. È questo è il solo modo per ottenere il rispetto necessario al suo funzionamento. Ma ciò non avviene. Noi lo sentiamo come un intralcio, a volte come un nemico. Lo percepiamo ingiusto e incapace. Lo avvertiamo distante e freddo, fatto di ingranaggi mossi da un macchinista invisibile e inafferrabile. Ma i nodi vengono al pettine prima o poi, ed anni e anni di disprezzo per la legalità stanno dando i loro frutti.
È questa è la prima cosa che impara chi sbarca da noi. Che qui non ci sono regole, e che se ci sono si possono impunemente violare. Unica conseguenza della maleducazione civica di chi crede che le leggi si possano aggirare a nostro piacimento, se ci fa comodo.
Qui non hanno colpa  gli ospiti neri o bianchi, gialli o rossi. Persone spregevoli e criminali si trovano dappertutto, e giudicare gli individui in base al colore della pelle non appartiene all’intelligenza, bensì alla stupidità umana. Qui è colpevole piuttosto la sciatteria,  l’improvvisazione e l’incompetenza di chi ci ha governati finora, e non è riuscito nell’intento di fare l’Italia. E di chi si è approfittato di questa debolezza, utilizzandola per i propri inconfessabili scopi. 

Qualcuno ha paura di un’Italia forte e democratica.

Lo Stato deve essere la casa di tutti. Ma nessun edificio può reggersi senza un fondamento. Noi abbiamo il nostro: la Costituzione. Basterebbe realizzarla, per rendere  desiderabile per tutti i cittadini la casa comune. Perché non è stato fatto?
Recentemente centinaia e centinaia di musulmani si sono permessi di occupare piazze e strade delle nostre città, nella posizione di preghiera loro abituale verso la Mecca. Una manifestazione che offende tutti coloro che pensano che la religione, o la non religione, siano scelte che attengono alla coscienza personale, da praticarsi in casa o nei luoghi di culto. Ma come dare loro torto? E soprattutto, come impedire che diventi una consuetudine?
Quando la laicità dello Stato e la sua autonomia sono state volutamente schiacciate sotto i piedi dell’arroganza e della strategia clericale nelle scuole, negli ospedali, nei mezzi di comunicazione e ovunque costoro possano contare sull’aiuto di volenterosi zelatori, insensibili alle ragioni degli altri, non possiamo impedire agli integralisti di altre religioni di fare lo stesso.
Quando le leggi dello Stato sono rese inapplicabili, per l’obiezione di coscienza dei ginecologi pagati dagli ospedali pubblici o quando non si fanno, per non offendere la sensibilità del Vaticano, non appena ne avranno la possibilità, gli altri faranno la stessa cosa.
Quando le televisioni di Stato sono asservite ad un’unica visione salvifica ed illiberale, aspettiamoci presto di vedere la fiction di Dario Mohammed, invece di don Matteo.

Non ci sarà integrazione senza laicità dello Stato.

La laicità dello Stato è la suprema condizione per una convivenza civile di diverse fedi sul nostro territorio. Questa è la vera sfida e l’unica condizione in grado di realizzare nel nostro paese quella integrazione di cui tutti parlano, ma che nessuno promuove. Pensare di farne a meno a vantaggio della religione di maggioranza è una scelta scellerata, che non potrà se non portare a conflitti devastanti. E sappiamo quello che le religioni sono capaci di fare, quando si combattono l’una contro l’altra.
E chi, sentendosi forte della propria supremazia su un popolo di bigotti, preferisce la sopraffazione alla giustizia, si potrebbe presto rendere conto delle conseguenze. 

domenica 20 agosto 2017

LA VACANZA PREMIO




Negli anni ottanta insegnavo al Liceo Scientifico di Pesaro. Una mattina entrarono  a scuola degli studenti pallidi in volto e stranamente silenziosi. Insospettito dall’insolito comportamento, chiedo loro dei ragguagli. Si trattava di ragazzi provenienti dall’entroterra. La fermata del loro autobus si trovava al di là della strada, e per arrivarci doveva per forza passare vicino ad una banca. Proprio lì, davanti a quella banca ancora chiusa, c’era un uomo. Un signore alto e magro, dall’aspetto curato. Aveva di fronte due o tre persone che si sbracciavano al suo indirizzo. Sembravano incalzarlo a fare qualcosa. Poi gli studenti udirono dei colpi sordi e videro l’uomo cadere a terra davanti a loro. E subito dopo una macchina bianca si allontanava precipitosamente dal luogo dell’omicidio.
Quell’uomo era il direttore di quella banca. Non aveva la chiave per aprire, ma gli assassini non l’avevano creduto. E senza la minima pietà, né per lui né per la madre dei suoi bambini, gli tolsero la vita. 
Oggi apprendo che uno di quei criminali, condannati all’ergastolo, non solo da quindici anni sconta la sua pena in semilibertà, ma se ne andrà in vacanza per una settimana in montagna in un albergo a quattro stelle. Invitato da Comunione e Liberazione.
Sarà la sociologia, o piuttosto la psichiatria, a giudicare la sanità mentale di una società, nella quale l’ergastolo si sconta in semilibertà. Quello che mi interessa, invece, sono le motivazioni di questa comunione di pie persone, con la passione per il lusso ed il potere, che si permette di offendere in questo modo i parenti di ventiquattro morti ammazzati e di un centinaio di feriti, causati dal branco della Uno Bianca. Uomini invasati dall’ideologia fascista, cui l’appartenenza alle forze di polizia infondeva senso di impunità e mania di onnipotenza.
Che cosa spinge questo movimento, che oggi a Rimini viene omaggiato da metà governo della Repubblica, compreso il Presidente del Consiglio, a far uscire dal carcere assassini di questa specie, invece di aiutare le vittime innocenti dei nefandi crimini da essi perpetrati? Che cosa li muove ad offrire la semilibertà ad un tale Marino Occhipinti, ergastolano,  in una loro cooperativa, fino a regalargli  un soggiorno premio in montagna?
Sono domande che rimarranno senza risposta, come senza risposta è la ragione per cui un assassino come De Pedis, della banda della Magliana, sia stato sepolto dentro una basilica di Roma.
Ma se togliamo di mezzo l’attrazione fatale per i criminali che si ispirano all’ideologia fascista o eventuali scambi più o meno affaristici, cui non voglio credere, non rimane che una sola giustificazione: il fanatismo religioso.
Quel fanatismo che fa loro pensare che l’idea di redenzione e di pentimento che propugnano debba prevalere a tutti i costi, anche con la prepotenza e la mistificazione. Ed utilizzando tutte le leve legali che non il popolo italiano,  ma l’insipienza e la debolezza di una politica imbelle, hanno posto nelle loro mani.
Manipolati da costoro, il perdono ed il pentimento sono diventati irriconoscibili dall’ipocrisia, e una vacanza si può benissimo confondere con degli esercizi spirituali.
Ma il perdono merita più rispetto. Non tutti lo possono chiedere e non tutti lo possono concedere.
Chiedere perdono per i peccati commessi da altri non è che un atto specioso quanto ingannevole. E non c’è bisogno di tanto acume per comprendere che implorarlo per la crudeltà di gente che non è più tra i viventi, è solo una fumisteria.
Ancora più grave, però, è l’ideologia aberrante di chi pretende che basti aver recitato un atto di contrizione ed essere stato assolto da un cappellano, per averlo.
L’unica persona, infatti, a poter concedere il perdono non può essere che la vittima.  Perché se si accettasse che possa farlo un altro, si arriverebbe all’assurdo che uno si potrebbe perdonare da se stesso.
E le vittime dei criminali della Uno Bianca sono morte. 
Che un uomo come me si ritenga autorizzato ad assolvere i peccati di un altro, è un’idea che ripugna alla ragione umana. Ma se proprio i devoti di CL ci vogliono credere, sappiano almeno che l’assoluzione di un prete può forse aprire le porte del paradiso, non certo quelle della galera.

mercoledì 9 agosto 2017

LO SO




Conosco quel rigore.
La nuvola tenace
che aduggiati lo sguardo
effimera e fugace
passandoti sul cuore.
Io so l’arco chi tende
da cui si stacca il dardo.
Conosco la paura del dolore.
So il grido soffocato
pel vuoto che ci attende
nei gorghi del passato.
E so la vanità delle parole.

lunedì 24 luglio 2017

LA LEGGE FIANO




Con tutto il rispetto che merita, per il tragico passato che ha colpito la sua famiglia, questa nuova legge Fiano mi sembra inutile. Infatti l’apologia del fascismo era già un reato, ma non ricordo nessuno che sia andato in galera per questo.
Il fascismo affonda le sue radici nei meandri bui degli istinti umani. Quelli della violenza e della prevaricazione, che non sono affatto scemate in questo paese. Ma esse, a tanti anni di distanza dalla fine della dittatura, non possono essere attribuite soltanto ai quattro scervellati che ancora inneggiano alle bande nere.  Significherebbe cristallizzarsi su uno schema obsoleto e fallace.
Oggi il problema del fascismo non è più il fascismo, ma è la prepotenza in generale, e questa non riguarda soltanto la destra. Una democrazia non può convivere con la violenza, la minaccia, l’abuso e la sopraffazione, che ne sono la negazione. Il problema è dunque quello del disprezzo per le leggi da parte di delinquenti e criminali che scorazzano liberamente indossando le proprie scarpe, in qualsiasi modo si vogliano chiamare. Tutta gente che circola impunita, perché la condanna per i colpevoli in Italia è diventata un’opzione scarsamente praticata.
A causa di una impostazione ideologica interessata da una parte e accettata supinamente dall’altra, il concetto della giusta sanzione è stato travasato nella categoria del “giustizialismo”. Con la conseguenza che non soltanto il fascismo becero a sfondo patologico, praticato ormai da pochi soggetti, ma anche la più gratuita e spicciola prevaricazione fioriscono rigogliosi sul terreno ben concimato del cinismo che ha guidato finora la nostra classe politica.
Quanti abusi di potere sono stati commessi con leggerezza da dirigenti pubblici nominati dai partiti cosiddetti costituzionali?
Un paese dove non si puniscono i colpevoli e non si premiano i meritevoli non è un paese serio e troppi esempi ormai rendono inevitabile la domanda cruciale: ma per chi legifera il nostro legislatore?
Forse un’idea che viene da lontano ha contribuito alla deriva del buon senso e alla vittoria dei “garantisti” interessati, facendo in modo che si coccolassero più i criminali delle loro vittime. L’idea che l’uomo non sia mai veramente colpevole e che, in fondo, siamo tutti peccatori. Con la conseguenza di prestare più attenzione al carnefice che alla vittima e che a milioni di persone, le quali in silenzio e dignità fanno il proprio dovere e rispettano le leggi, sia data meno importanza che a un criminale pentito.  
Ma se è vero che siamo tutti peccatori, questo non ci consente però di eliminare il concetto della responsabilità. L’uomo infatti può proseguire o fermarsi di fronte al sentiero dell’illegalità. E questo nella totale ed incondizionata libertà. Se procede nell’errore, che qualsiasi uomo riconosce per la legge morale che si porta dentro dalla nascita, lo fa a suo rischio e pericolo e nella assoluta consapevolezza di essere un colpevole suscettibile di una condanna. Egli è dunque sempre responsabile delle proprie azioni.
L’eccessiva benevolenza ha dimostrato non solo di non essere efficace, ma di contribuire alla diffusione dei comportamenti illeciti. Perché solo la paura trattiene i criminali, mentre l’impunità spinge alla lunga anche le persone che non lo sono  verso la china della scorrettezza.
L’Italia è ormai diventata un aggregato di associazioni, logge, comunioni, affiliazioni, sodalizi, compagnie, società, corporazioni, confraternite, cooperative, consorterie, sette e circoli, tutti impegnati a favorire i propri aderenti a scapito di tutti gli altri cittadini. Questa non si può chiamare democrazia. Trattandosi di un mannello di persone legate insieme dalla robusta corda dell’interesse, vogliamo chiamarla “fasciocrazia”?
Esso è il pericolo attuale e contro di esso si dovrebbero spendere le persone oneste e consapevoli. Perché ogni categoria potrebbe usare il proprio potere per prevaricare e  occultare le malefatte dei propri affiliati.  Medici che curano più i loro interessi che quelli dei pazienti, cooperative che non cooperano, dirigenti pubblici corrotti, torturatori dentro le stesse forze dell’ordine, no profit che fanno profitti, banchieri ladri, magistrati che pugnalano alle spalle altri magistrati, funzionari di partito che scambiano il voto col favore,  preti che abusano dei piccoli loro affidati, avvocati che non difendono, professori universitari che non vedono mai una cattedra, tutti coperti dallo spirito di corpo della propria categoria, invece di esserne allontanati con infamia.  Questo ed altro potrebbe accadere, non un nuovo fascismo, se lo Stato non sapesse tutelarsi, sbattendo in galera fino all’ultimo giorno, senza sconti e prescrizioni, i colpevoli di qualsiasi risma. Ma bisogna farlo prima che la fasciocrazia si insinui nelle supreme istituzioni legislative, dove potrebbe perfino scriversi le leggi a sua immagine e somiglianza.

giovedì 13 luglio 2017

LA SUFFICIENZA





Dare ai pesci il buongiorno
nuotandogli vicino
immerso nel silenzio
nel mare del mattino
con tanta quiete intorno
che rende sufficiente
il mondo trasparente
e cristallino.


giovedì 29 giugno 2017

LA RESPONSABILITÀ



Un governo che continua ad ignorare il grido che si leva da ogni parte d’Italia, giudicando con sussiego solo dei populisti o dei razzisti impauriti i cittadini che lo lanciano, ci dà la misura della propria faziosità.  È facile vedere che la rinascita del vero odio razziale sarà colpa di una classe politica corriva. Gente che ha pensato soltanto all’accoglienza in nome di un principio  giusto nella sua formulazione, ma tuttavia utopico, senza un progetto e senza un solido apparato per la difesa delle regole della Repubblica e per il rispetto della laicità in tutti i settori.  Con la conseguenza, sotto gli occhi di tutti, di devastare le periferie, moltiplicare i luoghi di culto improvvisati dove può accadere di tutto, avere gente che disprezzando le proprie donne disprezza anche le nostre consuetudini,  che odia la nostra libertà di pensiero e di parola, che modifica il modo di vivere degli europei con l’intimidazione, che mette a repentaglio la stessa convivenza civile, non avendo alcuna intenzione di rispettare le nostre leggi.
Con quale cervello si continuano a far arrivare dei disperati, se si sa che non si potranno mai inserire? Bisogna fermare la furia d’amore incontrollato che fa giungere sulle nostre coste sempre più gente, e poi la scarica sugli altri cittadini, senza preoccuparsi di come vivranno o come saranno trattati. Costoro si immaginano di essere i buoni in lotta contro una massa di indifferenti, ma non è così. E a volte un cuore senza cervello fa più danno di un cervello senza cuore. Cosa c’è di virtuoso in una simile passione altruistica? Essa, come tutte le passioni, è un impulso interiore che richiede di essere soddisfatto, al pari della vanità. Dunque sempre un sentimento egoistico, che sorge spontaneo dalle profondità più intime di noi stessi. L’altruista  per primo, infatti, sa che la sua azione gli procura quella pace interiore che va cercando, per placare l’inquietudine che lo assilla e lo tormenta. Se costui si gonfia d’orgoglio per il proprio comportamento è soltanto un ipocrita. Del resto si sa da tempo che le vere opere di bene, le uniche con un valore morale,  vanno compiute in silenzio e senza alcuna risonanza.
Se le azioni degli uni non fanno danno agli altri, devono essere accettate in nome del bene più grande, la libertà. Ma quello che sta accadendo ora è ben diverso e va a ledere i diritti di tutti. Infatti uno Stato la cui efficienza è inversamente proporzionale ai tempi della sua giustizia, come può occuparsi di tutta questa gente dispersa sulle nostre strade? Come pensare che persone lasciate a languire nel bisogno, a dormire tra i topi, a vivere strascinandosi avanti e indietro dalla sera alla mattina in cerca di cibo, per cadere poi schiavizzate tra le grinfie di criminali senza scrupoli, come pensare che questa gente non possa odiarci? Non basta consegnare i migranti ad associazioni e cooperative dai dubbi scopi, solo perché  risolvono un problema. Questa non è integrazione e significa agire come chi mette al mondo i figli, senza preoccuparsi di nutrirli e farli crescere dignitosamente. C’è una grande assente in tutta questa improvvisazione: la responsabilità.

sabato 17 giugno 2017

OMEOPATIA E CRISI RELIGIOSA




Da tempi antichissimi l’uomo ha attribuito all’acqua poteri taumaturgici. Egli ha da sempre individuato, nelle stranezze di graveolenti fonti termali, misteriosi poteri curativi e la sorgente, intesa come luogo da cui sgorgano acque fresche e purissime, ha attratto l’immaginazione rigogliosa dei poeti e dei ministri dei culti religiosi. Benché ridotto ormai ad una cloaca a cielo aperto, il Gange, sacro fiume indiano, è ancora oggi continuamente visitato da pellegrini che si vogliono immergere nelle sue acque. In ogni religione si menzionano antiche fonti, lavacri misteriosi in grado di redimere e le Naiadi, leggiadre ninfe delle acque, danzano di notte intorno ai laghi e ai fiumi d’Europa. Milioni di malati si bagnano ogni anno nelle piscine di Lourdes, colmi di speranza.
Uno sviluppo ulteriore si ebbe quando qualcuno cominciò ad attribuire all’acqua un sacrale potere di redenzione, senza bisogno di recarsi nei luoghi impervi delle sorgenti e delle cascate di montagna. Le chiese si riempirono allora di aspersori e acquasantiere, ripiene di un liquido purificatore preparato dal sacerdote. Non era più necessario conoscerne la provenienza. Bastava che il prete facesse dei segni misteriosi sopra la superficie di un’acqua qualunque, per conferire ad essa un potere salvifico. E una volta benedetta la si chiamò “santa”.  Il rito non modificava in alcun modo le caratteristiche fisico-chimiche del liquido consacrato, che sembrava perfettamente identico a prima. Eppure, per farsela aspergere o portarsela a casa, molti fedeli furono perfino disposti a non lesinare delle sostanziose “offerte”. Ricordo ancora un famoso allenatore di calcio che, prima delle partite, ci si strofinava furiosamente le mani, non certo per disinfettarle.
Questa irresistibile attrazione non poteva sfuggire a individui dalla più disparata intraprendenza. Infatti cominciarono a comparire acque giurassiche, acque mnemoniche, acque olistiche, acque energetiche e così via, che diedero la stura ad un commercio dalla incredibile variabilità. Un commercio caratterizzato sempre dalla stessa merce: l’acqua fresca. Un liquido cioè molto abbondante sulla terra il quale, opportunamente trattato, pur mantenendo in apparenza lo stesso aspetto era in grado di assumere poteri speciali, dovuti alla presenza del  misterioso fluido metafisico che la mente umana non comprende, ma percepisce.
Questi rimedi ebbero fortune alterne e alquanto circoscritte, tranne uno: l’omeopatia.  Per qualche misterioso motivo, anzi, quest’ultima assurse alla dignità di medicina “integrativa” ed i suoi preparati furono addirittura messi in vendita nelle farmacie. Ma sempre della stessa cosa si trattava. Infatti se io metto una goccia di latte in un litro d’acqua, soltanto un pazzo potrebbe sostenere che se bevo quel litro d’acqua dovrei sentirmi sazio. Quando però l’omeopata prende una goccia di quel preparato e la mette in un altro litro d’acqua, ripetendo questa operazione decine di volte, a quel punto neanche uno scervellato potrebbe avere più dubbi, tali da sostenere che dentro quel liquido ci sia ancora una presenza del prezioso nutrimento. Nessuno potrebbe sostenerlo, tranne l’omeopata, il quale invece afferma che, nonostante le diluizioni, la quantità infinitesimale di latte ancora presente nel liquido è in grado di far sentire ed esplicare i suoi benefici effetti sulla salute. E devono essere tanti coloro che ci credono, se è vero che pur di assumere tali preparati in piccole dosi, essi fanno vorticare un giro d’affari che dà le vertigini, pensando al suo ammontare.
Tutti clienti sottratti dalla concorrenza all’acqua santa, con grave scorno e scapito per la chiesa cattolica. Sarà un segno del suo declino?

martedì 6 giugno 2017

PERCHÉ SONO FAVOREVOLE AL REDDITO DI CITTADINANZA




La prima ragione è la solidarietà. Infatti non basta far sopravvivere la gente senza offrire loro l’opportunità di crescere. Sarebbe come se dal ponte di una nave guardassimo dei naufraghi annaspare tra le onde, ed invece di gettare loro una fune per farli salire, buttassimo in acqua dei viveri per farli mangiare. Questa non è solidarietà, ma è voler tenere nel bisogno una riserva di gente disposta a tutto. Infatti chi è affamato non pensa a nient’altro che  a nutrirsi. E mentre i randagi razzolano tra i rifiuti in cerca di cibo, i cani di razza partecipano ai concorsi di bellezza. E sostenere  che alla gente va dato il lavoro e non un sussidio, mi pare assomigli molto ad affermare che ai malati va data la salute e non le medicine.
Il secondo motivo riguarda la giustizia. Infatti in Italia il reddito di cittadinanza esiste già, ma non per tutti e neanche per i più bisognosi. I corridoi di migliaia di enti pubblici sparsi per il paese, sono calpestati ogni giorno da torme di privilegiati, ai quali una ingegnosa trovata, che si chiama concorso pubblico, ha garantito la sopravvivenza a vita. Invenzione di un sistema politico che è riuscito a realizzare l’apparato clientelare più scientificamente efficiente che si sia forse mai visto nella storia di questo paese. Le cronache dei giornali ci hanno fornito ampie e documentate prove di tutto questo e  soltanto la crassa faziosità o il personale interesse lo possono negare. Che a molte persone si siano versati emolumenti indebiti è provato da tutti gli scandali che hanno coinvolto le amministrazioni pubbliche. Gente scoperta a timbrare la presenza e ad andarsene altrove a fare un altro lavoro o a pensare agli affari suoi. Dunque, gente che non era necessario assumere. Per far funzionare la burocrazia basterebbe un terzo degli addetti attuali. Infatti quando qualcuno sta lì senza lavorare, non fa che dare l’esempio e trascina la produttività al ribasso, anche quella degli altri. Ed il fatto che di questo si accorgano le forze di polizia, ma non i dirigenti che dovrebbero controllare e dare l’esempio, non fa che avvalorare la tesi che si tratti di un piano ben congegnato e che siano tutti d’accordo. Gli antichi greci, che erano più saggi, usavano il sorteggio per assumere.
Elargire un reddito minimo di sopravvivenza, legato a regole, controlli e sanzioni ferrei, a chi ne ha bisogno, è un imperativo morale. E chi ha compreso quello che sta scritto sopra, non avrà difficoltà a capire dove si possono trovare le risorse.

giovedì 25 maggio 2017

I STAND WITH MANCHESTER




Personalmente già dal tempo in cui si sono cominciati ad uccidere i redattori dei giornali satirici, che nel bene o nel male esercitavano un diritto conquistato in occidente dai difensori della libertà contro l’oscurantismo, mi sono fermato a riflettere. E oggi, dopo l’ennesima strage di innocenti, mi chiedo se anche coloro i quali pensarono allora che in fondo se l’erano cercata, adesso si fermeranno a farlo. Se faremo ancora in tempo a salvarci dipende infatti dalla presa di coscienza di un pericolo, e non tutti sembrano percepirlo.
Quando milioni di persone di cultura e religioni diverse premono per entrare, rischiando addirittura la vita, non è più tempo però di discussioni sterili. E una democrazia che vuole accogliere chi democratico non è, deve essere una democrazia che puntella e protegge con convinzione le proprie fondamenta.
Solo un robusto recinto mantiene gli armenti al pascolo ed impedisce che si scontrino. E questo recinto si chiama Stato laico. Uno Stato nel quale tutte le religioni siano possibili, purché non interferiscano nella sua gestione e ne rispettino le leggi. 
La posizione dei nostri governanti, però, è ben diversa. Essi cedono sempre, e se non fosse che alienano ciò che altri hanno conquistato con il sangue, sarebbero solo patetici. Davanti alla chiesa cattolica, che  strilla più di tutte da sempre il suo preteso diritto di occuparsi della cosa pubblica, hanno ormai rinunciato a qualsiasi dignità. Come si potrà impedire, allora, che non lo pretendano anche gli altri? Vedremo le mezzelune accanto ai crocifissi nelle scuole ed avremo insegnanti di religione musulmana pagati con i soldi delle tasse di tutti i cittadini?  Verranno gli imam a benedire negli uffici pubblici? Avremo leggi diverse a seconda della religione che praticano i cittadini? Saremo curati da medici testimoni di Geova che non faranno trasfusioni perché obiettori?
A differenza di quello che vogliono farci credere, le religioni non potranno mai andare d’accordo tra di loro. Esse contengono, infatti,  al loro interno l’innesco del conflitto, poiché si arrogano il possesso di un bene salvifico e indivisibile: la verità. Ma come una barca non si può dividere in due, poiché in quel caso non si salverebbe più nessuno, così la verità non si può dividere tra le varie religioni, ed una soltanto ne vorrà mantenere il possesso, contro tutte le altre.
È interessante osservare come si dipani lo sforzo di alcune intelligenze per dimostrare l’indimostrabile. Che la religione non c’entra con la violenza, e che chi uccide gli infedeli nel nome del suo dio, in realtà intende qualcosa di diverso da quello che proclama. Ma chi vuol fare questo si arrampica solo sugli specchi. Poiché sarebbe come  voler dimostrare che una rampa per missili sia un pulpito per prediche di pace. Certo, esso può essere usato anche per questo, ma non è quella la sua origine. La religione monoteistica è nata proprio per trasformare gli uomini in strumenti nelle sue mani. E solo a questo scopo, nonostante qualche ascetico riformatore successivo che però è stato fatto fuori, fu modellata in tante forme dai diversi poteri che l’hanno diretta.  Si legga la Bibbia. Ci vuole la religione, infatti, per far commettere ad un uomo buono i peggiori delitti. Che cosa sarebbe altrimenti il marchio dell’appartenenza che viene appiccicato sin dalla nascita a bambini innocenti, per farli sentire diversi tra di loro? E che cosa l’indottrinamento a cui vengono sottoposti, fin dalla più tenera età?  Datemi un bambino prima dei sette anni e ne farò quello che voglio, diceva un illustre gesuita. Il battesimo, la circoncisione e qualsiasi altro rito di iniziazione, non sono se non segni del potere di una casta di preti sugli esseri umani. E se oggi questo potere non viene usato in Europa è solo grazie allo spirito dell’Illuminismo, che ha pervaso la nostra cultura occidentale e ci ha aperto gli occhi. Ma non è affatto escluso che non si riveda all’opera, come lo fu nei secoli bui dei roghi e delle scomuniche reciproche. Il sonno della ragione genera mostri.

lunedì 15 maggio 2017

LA LAUREA



Recenti polemiche su un politico non laureato,  mi hanno riacceso lo stupore per la fiducia degli italiani nel titolo di studio. Infatti non mi spiego la ragione per la quale un popolo, la cui storia ha reso tra i più increduli del mondo, possa seriamente attribuire tanta importanza ad un pezzo di carta, rilasciato per giunta da un “Ente pubblico”.
La premessa che i nostri nonni analfabeti erano soliti rivolgere ironicamente a qualche istruito, quando dicevano: “Tu che hai studiato!”, mi fa escludere l’ignoranza.
Infatti, come il gatto che istintivamente si ritrae dall’uomo che non conosce, l’ignoranza non assopisce l’istinto naturale alla diffidenza.
Non resta dunque che pensare a qualche strano meccanismo di istupidimento collettivo, che ha portato gli italiani ad essere il popolo dei dottori, e l’Italia il luogo in cui il fatturato dei produttori di targhe e timbri è in costante aumento.
Certo, la laurea sancisce il termine di un corso di studi indispensabile, laddove sia richiesta una capacità che si impara soltanto dopo lunghe fatiche. Nessuno affiderebbe infatti la costruzione di un ponte a qualcuno che non sia un ingegnere.
Ma questo riguarda tutti coloro che raggiungono capacità specifiche. Se lo studio è l’acquisizione di una competenza, forse non si deve definire studio la fatica dell’artigiano o del pittore, che vuol raggiungere la perfezione nel proprio lavoro?
Nessuno di noi, però, affiderebbe la costruzione di un tavolo a un falegname, soltanto perché ci esibisce un diploma.
La laurea invece pretende il rispetto sulla fiducia e marcia tronfia e impettita, nella pretesa di farci credere che una semplice attestazione sia sufficiente a garantire una vera competenza, per giunta da far valer valere per tutta la vita.
Invece  ciò che si è imparato si può anche dimenticare, mentre ciò che non si può perdere sono le doti che dovrebbe avere un politico, l’equità, la saggezza, la moderazione, la capacità di decidere,  che non si conseguono con un titolo di studio.
Inoltre, mentre l’artigiano riceve con la consegna dell’opera anche il controllo sul suo lavoro, la caterva di targhette ridondanti di Dr. e Dr.ssa sulle porte dei ministeri, delle banche, del servizio sanitario, delle regioni e dei vari enti inutili, quale controllo ricevono?
Esse sono la doratura che nasconde il metallo scadente sottostante, perché pare francamente difficile che una classe politica, dalla rara bassezza morale come quella che ha governato negli ultimi cinquant’anni, si sia lasciata sfuggire l’occasione di mettere le mani su uno strumento simile. E che le lobby per la difesa di se stesse, di cui trabocca questo paese, non siano riuscite a fare il miracolo di far passare attraverso la stretta cruna dei concorsi pubblici, non i cammelli ma gli asini.  
Se il gioco non fosse truccato non vedremmo le trote con la laurea ed i giovani migliori emigrare all’estero. Tant’è che, in questa ottica, un politico senza quel titolo di studio offre forse migliore affidabilità. Meditate gente, meditate.
La fiducia attribuita al pezzo di carta trova piuttosto riscontro soltanto nell’inefficienza ed ognuno di noi si è imbattuto almeno una volta nella vita in qualche imbecille, messo a dirigere un settore pubblico.
Il laureato che sa fare il proprio mestiere non ha bisogno di nascondersi dietro una pergamena. Ma chi non lo sa fare farebbe la fame, se valesse la competenza. Costoro non si vergognano di far finta di non sapere che, se esiste una disciplina, ci deve essere stato prima qualcuno che l’ha resa possibile. Ovviamente senza laurea. Dunque, la capacità e il merito non possono dipendere da essa.
Né Galileo Galilei, né Eugenio Montale né Steve Jobs erano laureati.

martedì 9 maggio 2017

LA RIPARTENZA




Nata per necessità  e cresciuta per caso, la vena del Menestrello si va esaurendo.
Anche i grafelli infatti, benché di specie assai più bassa, appartengono al genere della poesia e come questa nascono spontanei come i fiori degli alberi, che senza più linfa avvizziscono e muoiono.
Non so dire dunque se essi rifioriranno, perché non dipende dalla volontà la voce interiore che parla attraverso di essi.
Tuttavia l’esperienza del Blog è stata gratificante e mi dispiace abbandonarla. Per questo, anche senza la versificazione giambo - gnomica - scherzosa ─ mi si consenta soltanto per una volta una definizione vagamente erudita ­─ fin qui prodotta, mi piacerebbe continuarla.
Infatti la scrittura mi è sempre stata più congeniale della parola, che considero un semplice blaterare, dato che il discorso libero non consente mai la riflessione, mentre dalle larve informi del segno scritto, talvolta possono nascere splendide farfalle.
Inoltre il vantaggio del Blog è che si può dire senza riserve quello che si vuole, senza tema di essere contestati, ricavando perciò la piacevole sensazione di avere sempre ragione.
Per questi motivi dunque esso continuerà ancora. Con brevi riflessioni in prosa e, forse, con qualche lirismo effimero di poche pretese, mantenendo lo stesso “format”.
Grazie a tutti coloro che mi hanno seguito  fin qui e buona lettura a tutti quelli che continueranno a farlo.

mercoledì 12 aprile 2017

IL SENSO




Chiedersi il senso
del malessere interiore
e il vuoto che prorompe.
Questo vagare dei giorni
attorno ad una vita spesa
nel non sapere mai
lo scopo d’un’anima rappresa.
E poi d’un tratto, nel lampo più lontano,
vedere chiaro che tutto quel che hai
non è che l’incertezza  e la paura.
Quel bimbo nella cruda terra
che soffoca pian piano
non fa che ricordarci quel che siamo,
e l’animo, che si perde nella sera,
la sente la ragione vera
dell’assillante angoscia.
Perché nel fiore che avvizzisce,
e poi s’affloscia e muore,
il cuore vede all’opera il destino.
Che non distingue chi è lontano
da quello che, per caso, è più vicino.