sabato 9 settembre 2017

L’INTEGRAZIONE




L’integrazione non deve modificare il nostro stile di vita.

Se anche un solo cittadino fosse costretto a cambiare le proprie abitudini a causa di un migrante, non saremmo di fronte ad alcuna integrazione, ma alla disintegrazione del tessuto sociale esistente. Integrazione significa infatti inserzione, incorporazione, assimilazione di un individuo, di una categoria, di un gruppo etnico in un ambiente sociale, in un’organizzazione, in una comunità etnica, in una società costituita. Quale integrazione sarebbe quella dove invece la società costituita dovesse essere modificata dall’arrivo di nuovi individui?

La migrazione  non si può fermare.

Di fronte alla sfida che ci troviamo di fronte le persone reagiscono nei modi più disparati. C’è chi mette in primo piano solo le condizioni di vita di chi cerca di raggiungere l’Europa, e non si preoccupa d’altro. E c’è chi invece non accoglierebbe nessuno. Ma si tratta di posizioni estreme, scatenate dalla passionalità, e non hanno nulla a che fare con un giudizio ponderato.
La realtà è che nessuno mai potrà rimettere indietro l’orologio della storia, e che, volenti o nolenti, dovremo convivere con la presenza di etnie diverse dalla nostra. Ne consegue che se non saremo in grado di incanalare e gestire questo flusso, sarà esso a farlo e a cambiare radicalmente il nostro modo di vivere.

La vera integrazione richiede uno Stato che funzioni.

Come nessun gioco è possibile senza regole, così nessuna convivenza potrà realizzarsi senza leggi sicure, accompagnate dalla certezza di giuste sanzioni. Si tratta per l’Italia di una sfida epocale. Infatti a centocinquant’anni dalla sua unificazione, questo paese non possiede ancora uno Stato degno di questo nome.
Uno Stato democratico, per essere tale, deve essere amato dai propri cittadini. È questo è il solo modo per ottenere il rispetto necessario al suo funzionamento. Ma ciò non avviene. Noi lo sentiamo come un intralcio, a volte come un nemico. Lo percepiamo ingiusto e incapace. Lo avvertiamo distante e freddo, fatto di ingranaggi mossi da un macchinista invisibile e inafferrabile. Ma i nodi vengono al pettine prima o poi, ed anni e anni di disprezzo per la legalità stanno dando i loro frutti.
È questa è la prima cosa che impara chi sbarca da noi. Che qui non ci sono regole, e che se ci sono si possono impunemente violare. Unica conseguenza della maleducazione civica di chi crede che le leggi si possano aggirare a nostro piacimento, se ci fa comodo.
Qui non hanno colpa  gli ospiti neri o bianchi, gialli o rossi. Persone spregevoli e criminali si trovano dappertutto, e giudicare gli individui in base al colore della pelle non appartiene all’intelligenza, bensì alla stupidità umana. Qui è colpevole piuttosto la sciatteria,  l’improvvisazione e l’incompetenza di chi ci ha governati finora, e non è riuscito nell’intento di fare l’Italia. E di chi si è approfittato di questa debolezza, utilizzandola per i propri inconfessabili scopi. 

Qualcuno ha paura di un’Italia forte e democratica.

Lo Stato deve essere la casa di tutti. Ma nessun edificio può reggersi senza un fondamento. Noi abbiamo il nostro: la Costituzione. Basterebbe realizzarla, per rendere  desiderabile per tutti i cittadini la casa comune. Perché non è stato fatto?
Recentemente centinaia e centinaia di musulmani si sono permessi di occupare piazze e strade delle nostre città, nella posizione di preghiera loro abituale verso la Mecca. Una manifestazione che offende tutti coloro che pensano che la religione, o la non religione, siano scelte che attengono alla coscienza personale, da praticarsi in casa o nei luoghi di culto. Ma come dare loro torto? E soprattutto, come impedire che diventi una consuetudine?
Quando la laicità dello Stato e la sua autonomia sono state volutamente schiacciate sotto i piedi dell’arroganza e della strategia clericale nelle scuole, negli ospedali, nei mezzi di comunicazione e ovunque costoro possano contare sull’aiuto di volenterosi zelatori, insensibili alle ragioni degli altri, non possiamo impedire agli integralisti di altre religioni di fare lo stesso.
Quando le leggi dello Stato sono rese inapplicabili, per l’obiezione di coscienza dei ginecologi pagati dagli ospedali pubblici o quando non si fanno, per non offendere la sensibilità del Vaticano, non appena ne avranno la possibilità, gli altri faranno la stessa cosa.
Quando le televisioni di Stato sono asservite ad un’unica visione salvifica ed illiberale, aspettiamoci presto di vedere la fiction di Dario Mohammed, invece di don Matteo.

Non ci sarà integrazione senza laicità dello Stato.

La laicità dello Stato è la suprema condizione per una convivenza civile di diverse fedi sul nostro territorio. Questa è la vera sfida e l’unica condizione in grado di realizzare nel nostro paese quella integrazione di cui tutti parlano, ma che nessuno promuove. Pensare di farne a meno a vantaggio della religione di maggioranza è una scelta scellerata, che non potrà se non portare a conflitti devastanti. E sappiamo quello che le religioni sono capaci di fare, quando si combattono l’una contro l’altra.
E chi, sentendosi forte della propria supremazia su un popolo di bigotti, preferisce la sopraffazione alla giustizia, si potrebbe presto rendere conto delle conseguenze.