mercoledì 28 settembre 2016

IL PROGRESSO



Ora m’accingo a scendere il sentiero
che mi ha condotto dove sono adesso,
perché voglio sapere se sia vero
che il mondo evolva sempre nel progresso.

E più ritorno indietro e più cammino
più sale un gran fetore dal passato
e più all’antica gente m’avvicino
più sembra il mondo sempre depravato.

A fiumi insanguinati esso mi porta
e a laghi sterminati di paura;
violenza stupri abusi  d’ogni sorta
massacri senza fine e furia pura

ad ogni passo, con poche interruzioni,
per quello che, dai tempi che sappiamo,
di  storia umana sono le lezioni
che ai posteri da sempre tramandiamo.

La stessa gente che le televisioni
ci mostrano smarrita nelle tane;
rovine lutti e poi devastazioni
popoli in fuga e bimbi senza pane

ci sono sempre stati, come ora,
in dura lega insieme con la vita.
Nulla di nuovo sotto il sole allora?
La brace cova ardente incenerita

e muto il suo calore si diffonde;
un mare piatto quando il vento spira
ben presto si ricoprirà di onde.
Così una forza cieca spinge e tira

e cade il sasso giù dalla collina.
Così nel fiore l’ape si rinserra
e come un uovo cova la gallina
l’umanità da sempre fa la guerra.

Risalgo lesto indietro pensieroso
e scorgo lunge la trincea indurita
dove mio nonno si fece coraggioso
e ci lasciò una gamba, altri la vita.

E dopo appena una generazione
ancora dei soldati insanguinati;
sotto le bombe e il tiro del cannone
milioni d’innocenti massacrati.

Poi dentro i forni accesi e incandescenti,
mentre la pelle svaporava nel terrore
e il grido si fermava in mezzo ai denti,
inutilmente s’aspettò il Signore.

Sempre più morti nel ritornar la via
che il lento progredire della scienza
e l’avanzar della tecnologia
producono con molta più efficienza.

Ma dopo la fiammata devastante
il fuoco sembra essersi fermato
ed ora brucia un poco più distante
qua e là soltanto, in modo limitato.

Eppure sono tante le stagioni
passate ormai dall’ultimo olocausto
quando tra loro armate le nazioni
fecero della terra un solo encausto.

Dunque il progresso, se io vivo, c’è,
se i nostri figli non sono andati in guerra;
e mi domando allora che cos’è
che tutto l’odio che cova sulla terra

l’ha ora raggelato e spinto via.
Cos’è che frena adesso l’ambizione,
la brama di potere e quel che sia
dell’uomo la temibile passione.

Cos’è che il prepotente ed il mastino,
ed il superbo o quello pieno di rancore;
cos’è che può fermare l’assassino,
l’invidia, la lussuria ed il livore.

Ciò che non fece la filosofia
né l’etica poté o la religione;
quello dove fallì l’ideologia
ed anche la cultura e la ragione

nel dare all’uomo almeno la speranza
di vivere una vita meno dura,
non fu l’amore o la tolleranza,
ma solo l’egoismo e la paura.

Fu facile da stanze profumate
mandare gli altri a farsi massacrare;
comodo tra le feste e le risate
sol con un gesto morte comandare;

pontificare sui destini sacri
davanti a folle d’uomini obbedienti
e poi metter le mani nei lavacri
di fronte al grido acerbo delle genti.

Ma non si può più fare questo adesso.
Perché premuto il dito sul bottone,
grazie allo slancio intenso del progresso,
muore con il suo servo anche il padrone.

domenica 18 settembre 2016

IL DESTINO DEI PADRI



Triste il destino del padre
sotto lo sguardo tacito del figlio
che misura e compete
la propria vita con la sua.
Triste, doversi defilare in silenzio
perché non serve l’agone
e si lasciano i confronti
sepolti nel passato,
se ai suoi occhi
anche l’amore sembra fare
la stessa fine.
Triste volerlo libero
quando lo puoi fare solo morendo
o sembrandogli indifferente.

martedì 13 settembre 2016

SALTIMBANCHI



Stralci di mondo dai pensieri stanchi,
vivide luci dai volti più seriosi.
Ascolto e spesso non comprendo il senso
che muove i professori e i saltimbanchi.
Polvere sulle  strade e dalla china
scendono rotolando arrotondati
i sassi scaturiti dall’eterno
che vanno senza spinta né benzina.
E non ho più bisogno d’argomenti
né del giudizio austero che si spreca,
se il mondo ne produce così tanti
di esperti di studiosi e di docenti.

lunedì 5 settembre 2016

QUANDO MUOIONO I GELSOMINI



Il mio giardino la scorsa primavera
s’era riempito a un tratto di splendore.
Nell’ora fresca d’un limpido mattino
c’era nell’aria un dolce buon odore
e il gelsomino, forte e verdeggiante,
mi si mostrava d’improvviso in fiore.
A me  che stavo lì vicino intorno
candida luce balenava attorno.
Davvero non l’avevo visto mai
così lucente bello e profumato
come nella sua ultima stagione,
quando struggente amore mi mostrò.
Ed or che s’è seccato in modo strano
io la ragione mi domando invano.