Ora m’accingo a scendere il
sentiero
che mi ha condotto dove sono
adesso,
perché voglio sapere se sia vero
che il mondo evolva sempre nel
progresso.
E più ritorno indietro e più
cammino
più sale un gran fetore dal passato
e più all’antica gente
m’avvicino
più sembra il mondo sempre
depravato.
A fiumi insanguinati esso mi
porta
e a laghi sterminati di paura;
violenza stupri abusi d’ogni sorta
massacri senza fine e furia pura
ad ogni passo, con poche
interruzioni,
per quello che, dai tempi che
sappiamo,
di storia umana sono le lezioni
che ai posteri da sempre
tramandiamo.
La stessa gente che le
televisioni
ci mostrano smarrita nelle tane;
rovine lutti e poi devastazioni
popoli in fuga e bimbi senza
pane
ci sono sempre stati, come ora,
in dura lega insieme con la
vita.
Nulla di nuovo sotto il sole
allora?
La brace cova ardente incenerita
e muto il suo calore si diffonde;
un mare piatto quando il vento spira
ben presto si ricoprirà di onde.
Così una forza cieca spinge e tira
e cade il sasso giù dalla
collina.
Così nel fiore l’ape si rinserra
e come un uovo cova la gallina
l’umanità da sempre fa la guerra.
Risalgo lesto indietro
pensieroso
e scorgo lunge la trincea
indurita
dove mio nonno si fece
coraggioso
e ci lasciò una gamba, altri la vita.
E dopo appena una generazione
ancora dei soldati insanguinati;
sotto le bombe e il tiro del
cannone
milioni d’innocenti massacrati.
Poi dentro i forni accesi e
incandescenti,
mentre la pelle svaporava nel
terrore
e il grido si fermava in mezzo
ai denti,
inutilmente s’aspettò il
Signore.
Sempre più morti nel ritornar la
via
che il lento progredire della
scienza
e l’avanzar della tecnologia
producono con molta più
efficienza.
Ma dopo la fiammata devastante
il fuoco sembra essersi fermato
ed ora brucia un poco più
distante
qua e là soltanto, in modo
limitato.
Eppure sono tante le stagioni
passate ormai dall’ultimo
olocausto
quando tra loro armate le
nazioni
fecero della terra un solo
encausto.
Dunque il progresso, se io vivo,
c’è,
se i nostri figli non sono
andati in guerra;
e mi domando allora che cos’è
che tutto l’odio che cova sulla
terra
l’ha ora raggelato e spinto via.
Cos’è che frena adesso
l’ambizione,
la brama di potere e quel che
sia
dell’uomo la temibile passione.
Cos’è che il prepotente ed il
mastino,
ed il superbo o quello pieno di
rancore;
cos’è che può fermare l’assassino,
l’invidia, la lussuria ed il
livore.
Ciò che non fece la filosofia
né l’etica poté o la religione;
quello dove fallì l’ideologia
ed anche la cultura e la ragione
nel dare all’uomo almeno la
speranza
di vivere una vita meno dura,
non fu l’amore o la tolleranza,
ma solo l’egoismo e la paura.
Fu facile da stanze profumate
mandare gli altri a farsi
massacrare;
comodo tra le feste e le risate
sol con un gesto morte comandare;
pontificare sui destini sacri
davanti a folle d’uomini
obbedienti
e poi metter le mani nei lavacri
di fronte al grido acerbo delle
genti.
Ma non si può più fare questo adesso.
Perché premuto il dito sul
bottone,
grazie allo slancio intenso del
progresso,
muore
con il suo servo anche il padrone.