venerdì 29 novembre 2013

L'INDIFFERENZA



M’è accaduto, sì,
l’ho pensato.
Che come un leggero afrore
succede sulle riarse strade
all’acqua che dirotta cade,
tu l’avessi meritato
quel dolore.

M’è successo,
forse nella stagione breve
che il sangue pulsa
e‘n viso avvampa e viene
l’intensa repulsione
per una vita greve,
un’anima crudele.
  
Io l’ho auspicato,
speranza tenue
come dei vecchi il sonno,
ch’uno scarto
nel gravelento moto
delle infinite ruote,
ch’un tonfo che percuote
o un vetro che s’appanna
davanti all’antro ansante
della natura urlante
ne rivelasse uno sgomento,
un’anima pulsante.

Ma nulla nel mare marezzato,
terrigno ribollir di spuma e suono,
nulla nell’arco sovrastante
dell’etra variegato
 che rimbomba il tuono,
nulla nella faretra
d’un sagittario
dall’andatura immota.

Ed anche questa sera
lontano,… tra le onde,
il sole si nasconde.

lunedì 25 novembre 2013

IL CANTO MANCANTE - Ultima parte



     E quando fu finito guardai Dante
che scevro di sorriso mi fissava
come di chi n’avesse viste tante,
     mentre s’udì d’abbasso uno c’urlava
appeso sulla cinghia come tutti,
ma che con gran veemenza protestava,
     gridando sotto a quei gran ceffi brutti
di non aver mai fatto male alcuno,
ma ricevendo solo scherni e rutti.
     Chiesi al poeta allor, ch’ero digiuno,
ed ei mi ragguagliò sul caso strano
di chi senza toccar bambino alcuno
     trovossi sì scoperto il deretano.
– Son quelli ch’han difeso e ch’hanno assolto
come costui ch’era carmelitano,
     qual fosse a loro stessi stato tolto
da quei perversi della peggior specie
il bel sorriso dei bambin dal volto,
     al posto del buon Dio ed in sua vece.
Maxime, tra superbia e presunzione,
di poter farlo sol con una prece.
     Un prete di Ferrara, Pietro il nome, –
nel proseguire mi spiegò il divino,
– scoprì per figlio un grosso ragazzone
     allor che la sua madre, quel meschino,
aveva da  bambina violentato.
E dopo aver negato per benino
     messo alle strette fu da un magistrato,
giustificando la rinnegazione
perché’l Signor l’aveva perdonato
     per mezzo dell’indegna assoluzione
di quello frate urlante ormai dannato.
Ma presto avrà la stessa punizione.
     Per questo – disse Dante – m’hai sognato.
– Che né perdono né salvezza avrà
colui che d’un bambino avrà abusato.
                                    Ma sol l’inferno per l’eternità – 

                                                       FINE

venerdì 22 novembre 2013

IL DECLINO


Ovunque solo amici degli amici.
Dove s’infrasca il fiume che non vedo?
Io quel passato certo non rinnego,
ma chi è che l’ha recise le radici?
Non lo capisco più quello che dici.
Il sorrisetto astuto e’l dir “io credo”,
furbetto l’occhiolino nel congedo.
E chi non ha padrini? Infelici.
Lo sono diventato tuo malgrado,
bizzarro, vero? Quel che‘l caso fura.
Anche se m’hanno detto i precursori:
non tutti posson fare i professori.
E quei di cui vi siete presi cura
li ho visti tutti a capo del degrado.
Spogliato e di giustizia il tuo contado,
disperse sempre dagli stessi venti
le merci dei granai e le sementi.


martedì 19 novembre 2013

IL CANTO MANCANTE - Terza parte



     Trema l’anima prava a quell’azione,
quando dall’alto ella se n’avvede,
che lenta va a riempire un siringone
     ed ai suoi occhi quasi non ci crede,
quando dal basso l’infernal natura
ridendo glielo svuota nella sede.
     Ei strilla dalla scomoda postura
e sbatte e scalcia e del destin si rode
e lento s’avvicina alla creatura.
     Bramoso il mostro nulla più non ode,
prefigurando intenso quel piacere
che gli daranno quelle chiappe sode,
     quando grondanti e luride a vedere
giunte saran dei baffi alle radici
e nulla più gl’impedirà di bere.
     Orribile vision per gl’infelici
l’orrido pelo, ratto il movimento,
dagli occhi fiammeggianti e le narici
     che sbuffan fumo intorno come vento,
mentre la lingua guizza in alto e sale
avanti e ancora indietro a piacimento.
     S’inarca allor l’infame per il male
e stride, mentre i diavoli eccitati
lo batton con le forche e con le pale
     ballando intorno, il mucchio scalmanato
sprizzando gioia e gran soddisfazione
nel corso del supplizio del dannato.
     Finché quel mostro orrendo non ripone,
nel sibilar e torcersi qual ola
del meschino, saziatosi benone,
     la ruvida e bruciante lingua in gola.
S’acqueta allora il satanasso urlante
mentre s’accascia l’alma sfatta e sola.

                                                                  CONTINUA

domenica 17 novembre 2013

IL MARE DI LAMPEDUSA



Spunta e biancheggia dalla sabbia ardente
il senso oscuro della vita umana.
Struggente il soffio di pietà promana
verso chi se lo chiede e se lo sente.
Dispersa ormai la fila della gente,
lo strepitar nella deserta piana.
Ma dove va il dolore? Chi lo chiama
ad ingrossare il pozzo e la sorgente?
Partite per sfuggire dal sopruso
di padri, di fratelli e tradizioni
come da quelle parti ancora s’usa,
viaggiando nel terrore dell’abuso,
sbattute dentro fradici barconi
nell’infuriar dell’onde a Lampedusa.
Sopravvissute quelle, alla rinfusa
or respirando sulla tolda un poco.
Stuprate dalla vita prima e dopo.

giovedì 14 novembre 2013

IL CANTO MANCANTE (Seconda parte)



     – Ma chi son questi? Chi è questa gente? –
porgo al poeta la domanda mia
e lui risponde assai pacatamente:
     – sono i dannati per pedofilia,
la feccia della triste faccia umana
e mancan dai gironi a causa mia –
     Sedevan costor dunque in posa strana
sul piano di trasporto senza lacci,
addosso solamente una bandana
     fissata bene al nastro tra i polpacci
e ai didimi legata stretta stretta.
Il resto pelle nuda e niente stracci
     in bilico, a rischiar l’anima abietta
ognor di penzolar per i coglioni,
se non si fosse sempre ben sorretta
     stringendo con le mani degli occhioni
fissati ad una corda sovrastante.
E sotto a loro diavoli e demòni
     ed una tetra bestia dal sembiante
di un laido e gigantesco formichiere
dall’aspra e scabra lingua rosseggiante
     al par di spada d’uno cavaliere,
che quando arriva l’anima dannata
gl’infila a mò di dardo nel sedere.
     Su quella mobil banda abbarbicata
giunge lei dunque dentro il cavernone
e avanza lentamente frastornata;
     fremono i satanassi ed il bestione,
vedendo calcitrare il disgraziato
tenuto bene a bada col forcone,
     mentre ch’alcuni diavoli di lato
riscaldan lo schifoso beverone
di cui il mostro sempre ghiotto è stato.    

CONTINUA

mercoledì 13 novembre 2013

SPERANZA



Speranza dice che si deve dare
l’IMU, che la possiam pagare.
L’ho visto ieri sera a Ballarò.
Certo, anche il sangue lo si può donare
amici, ma ai vampiri no!

Davvero ancora tu lo puoi votare
chi non s’è vergognato di tassare
perfino la raccolta dei funghetti?
Lasciamoli tra loro ormai parlare,
la profittante razza degli inetti.

domenica 10 novembre 2013

IL CANTO MANCANTE (Prima parte)




     Un fremito al ricordo del poeta.
Stanotte l’ho sognato ed era lui,
parlandomi di cosa assai segreta
     e una richiesta straordinaria, al cui
pensier  tosto m’assale lo sgomento
e la paura a raccontarlo altrui.
     Mi chiede dunque l’Alighier memento
d’aggiungere dei versi alla commedia,
ch’egli altrimenti mai sarà contento
     se alla mancanza alcuno non rimedia.
L’infera simmetria non ha concento
senza l’aggiunta al desco d’una sedia.
     – Ma – gli dico con voce senz’accento
– come potrò mai farlo mio divino,
se manco di parole e di strumento? –
     – Non serve tanto l’esser sopraffino –
egli mi dice molto comprensivo
– ma che ci sia del corpo dentro il vino
     e tutto il resto non sarà cattivo.
Tu lo dirai con le parole tue
il mio pensier ancor ardente e vivo –
     E dunque, tra ‘l mugghiar come di bue
e le risate grasse per lo scherno,
ecco venire innanzi l’ombre sue.
     C’è come, nella grotta dell’inferno,
un nastro che trasporta le persone
che gira sempre e che non sta mai fermo
     senza che mai si veda una stazione.
A qualche metro dalla terra scura
si scorge gente sopra senza nome,
     il posteriore in vista e ben in cura,
che ampia un’apertura lo consente
d’individuar da sotto la lordura.

CONTINUA

mercoledì 6 novembre 2013

LA RICONOSCENZA



Grondano d’acqua i muri nella sera
per una pioggia intensa e assai dirotta
quando un leggero pigolio si leva
e si confonde tra l’intensa lotta.

Poi lo risento, almen così mi pare,
ed apro l’uscio nella notte scura.
C’era un gattino sotto le mie mura
sbarrati gli occhi e il pelo diseguale

rorido e infradiciato fino all’osso.
L’ho fatto entrare zuppo nell’androne
e l’ho rifocillato a più non posso.
Poi, quando fu passato l’acquazzone,

apro la porta e lui mi fugge via.
Il vento soffia e corre come un treno
le nuvole scansando tuttavia
e per domani ci sarà il sereno.

Il mondo per il sole s’è indorato
quand’apro e butto gli occhi allo zerbino
dove, come se fosse addormentato,
si trova lì adagiato un uccellino.

Le piume intatte e il collo reclinato.
E mentre delicato lo raccatto
presento chiaro d’esser osservato.
Sul muro dirimpetto ci sta un gatto.

Dicon che sia per la benevolenza
che lo fanno. Per un ringraziamento.
E che quel loro agir non è parvenza
ma il frutto d‘un reale sentimento.

E grande assai un dubbio mi pervade
guardando la contorta umanità
ch’affolla e muove per le nostre strade
nel segno della superiorità.

Parendomi che la riconoscenza
non proprio frutto sia d’intelligenza.

domenica 3 novembre 2013

A UN PRETE PEDOFILO


Ripenso le paure tra le coperte
fredde di camerate oscure.
Immagino il disgusto.
Gelida l’indifferente sicumera
della tua veste nera.
Ma quanti sono stati?
I laghi d’innocenza prosciugati
dall’abominio della sera?
Rivedo lo spavento
e la disperazione vera.
La porta aperta del recinto
ormai lo tiene avvinto
a ieri quel sopruso e relegato.
Ma quel che s’è saputo m’ha convinto
dell’inezia, rispetto a quello
ch’avrai potuto fare nel passato.
Quando per il  potere immenso
tenevi il mondo intero
a te prostrato.