lunedì 23 dicembre 2013

NATALE



Vedo per caso la vetrina
con dentro un carosello
sfavillante…ed una luce
mi si fa pressante questa sera.
Sai, nella bruma ceca
ricordo una mattina,
addentro l’atre mura d’un castello
 della città di Terezina,
un ingiallito foglio
appeso al muro scalcinato
che una bambina
aveva graffitato d’una giostra
sbilenca in bianco e nero
sotto un abete statico e severo
agghindato di festoni.
E uomini d’intorno, buoni,
intenerito il cuore dai torroni.

venerdì 20 dicembre 2013

L'ULTIMA ROSA DEL GIARDINO


Passo radente ad un diruto orto
nell’aria fredda e stagna
d’un prolungato autunno;
la gleba zuppa e nera
che oltre non si bagna
e il resto giace morto
in quella luce scura della sera.
Solo uno stelo smorto
che regge stento un fiore
lancia un roggio bagliore.
Guardo quei petali sconnessi
e provo un malinconico stupore
nell’incrociar lo sguardo triste
di una rosa che m’implora
di non lasciarla sola.
Perché non muore ancora.

martedì 17 dicembre 2013

L'AVVENTO



Sfregola lo zolfo sulla raspa
e appare uno splendore
quando s’accende la candela dell’avvento.
- Vuol dire ‘attesa’ quest’evento - dici.
- Ti sbagli amore, ‘venuta’ vuole dire.
Ma tu reagisci male, perché le tue radici
lo sanno che è l’aspettazione del Natale.
- Devi guardare - dico - l’etimologia,
che ‘ad-venire’ è il ceppo, cara,
ed è ‘venuta’ la significazione.
- Vuoi sempre aver ragione.
- Ma non è colpa mia,
conosco l’espressione.
Rabbiosa ti sollevi dalla sedia
e senza nulla dire fuggi via
a scaricare un lemma Wikipedia.
C’è scritto che l’avvento
‘venuta’ vuole dire,
con l’accezion però di ‘attesa’.
- Hai visto? Ci ho ragione.
- Invece ce l’ho io.
E tu te la sei presa.

sabato 14 dicembre 2013

LA RESPONSABILITÀ



Capzioso sembra il suono
di quest’affermazione
ch’è solo l’occasione
a fare ladro l’uomo,

ma ammesso come pare
che l’uomo sia ladrone,
chi gli dà l’occasione
come devi ‘l chiamare?

Soltanto la parola
responsabilità
discernere potrà
il piede dalla suola,

che se per tutti vale
la stessa propensione
è nella posizione
che l’uomo non è uguale.

Ahi, popolo meschino
dove il tuo dirigente
invece che alla gente
pensa per il padrino,

il qual, chi l’ha votato
lo vede solo un giorno
o quando fa ritorno
per un altro mandato.

Dove la legge è legge
ma non per chi la fa
e sempre ci sarà
chi pronto la corregge,

dove chi l’ha causato
il grande disonore
dice senza pudore
che ognuno pari è stato.

Meschina la nazione
che chi alla legge senza
indugio dà obbedienza,
lo fa sentir coglione.

mercoledì 11 dicembre 2013

BOH?



Ricordo la Morani
che solo l’anno prima
cantava la manfrina
che vinto avea Bersani.

Son proprio tempi strani.
Ma come! Rottamato
Bersani adesso è stato
da quelle stesse mani?

La vecchia guardia cede?
Non so il politichese
ma in questo mio paese
beato chi ci crede.

Mio giovane ronzino
osservati d’intorno,
perché solo il buon giorno
si vede dal...fantino.


domenica 8 dicembre 2013

L'INCOMPRENSIONE


Ci sono giorni e notti senza luna
che nel silenzio il cuore in un anfratto
si rifugia. Ch’è vano ogni contatto
e che la strada sfugge come spuma.
Che dove l’abitudine raduna
o assiso sul divano quatto quatto,
in un violento alterco io m’imbatto
dove la pace nella rabbia sfuma.
Incendia l’esca una parola strana
a cui rispondo asprigno tosto io,
ma non è quello che intendevi tu,
che strilli a voce ampia e superana
a suscitar bruciante l’urlo mio
ed un rancore che non passa più.
Da dove vengon le parole su?
Frutto perverso d’una evoluzione
che solo spande al mondo incomprensione.

mercoledì 4 dicembre 2013

L'INCONTRO


Ho incontrato mio padre.
Lui
non si è accorto di me.
Spalava la neve nella strada del comune
ed il badile gli pesava nella mano.
Aveva la pelle nera ed il volto
imperlato di sudore.
Io,
vestito bene,
gli sono passato accanto stupito
che la strada non fosse in salita,
come i vicoli d’Urbino
cinquant’anni
prima.

domenica 1 dicembre 2013

PRIMO DICEMBRE 2013



A mezzo del mattino d’ora certa
la lectio magistralis finalmente
vengo a sentirti pronunciare,
stanco dell’abbondanza di parole
insulse tanto, da muoversi da sole.

C’è la cultura in quella sala,
ci sei tu. Arrivo trafelato,
per essere in orario proprio
dove sarà profferta la parola vera,
una proposizione oppur la locuzione
che mi sollevi l’animo impastato
dall’imperante, sì, mediocrità che impera.

Strabocca di persone l’aula magna,
stipato il corridoio di preclari
tra i quali striscio e avanzo malamente
per arrivare fino a quella gente
che tanta t’è venuta ad ascoltare
e guarda silenziosa mentre aspetta
che tu ti faccia vivo, senza fretta.

Faccio un giretto, che non trovo posto
tra i sedili ben disposti in fila,
e mi sorbisco quei disegni da paura
che hanno esposto al muro
e l’han chiamata mostra di pittura.
Poi disgustato e afflitto mi rientro
e salgo gli scalini pian pianino.
Più di mezz’ora ormai è già passata
e tu di certo sei ormai lì dentro.

C’è ancora gente però nel corridoio,
sindaco, assessore, presidente
e non si sente niente da di là.
Sbircio all’interno, no tu non ci sei;
qualcuno dice: presto arriverà!
Ma io riesco, sfiorando il viso dell’autorità.

C’è Grillo in piazza oggi. È il vaffa day.

venerdì 29 novembre 2013

L'INDIFFERENZA



M’è accaduto, sì,
l’ho pensato.
Che come un leggero afrore
succede sulle riarse strade
all’acqua che dirotta cade,
tu l’avessi meritato
quel dolore.

M’è successo,
forse nella stagione breve
che il sangue pulsa
e‘n viso avvampa e viene
l’intensa repulsione
per una vita greve,
un’anima crudele.
  
Io l’ho auspicato,
speranza tenue
come dei vecchi il sonno,
ch’uno scarto
nel gravelento moto
delle infinite ruote,
ch’un tonfo che percuote
o un vetro che s’appanna
davanti all’antro ansante
della natura urlante
ne rivelasse uno sgomento,
un’anima pulsante.

Ma nulla nel mare marezzato,
terrigno ribollir di spuma e suono,
nulla nell’arco sovrastante
dell’etra variegato
 che rimbomba il tuono,
nulla nella faretra
d’un sagittario
dall’andatura immota.

Ed anche questa sera
lontano,… tra le onde,
il sole si nasconde.

lunedì 25 novembre 2013

IL CANTO MANCANTE - Ultima parte



     E quando fu finito guardai Dante
che scevro di sorriso mi fissava
come di chi n’avesse viste tante,
     mentre s’udì d’abbasso uno c’urlava
appeso sulla cinghia come tutti,
ma che con gran veemenza protestava,
     gridando sotto a quei gran ceffi brutti
di non aver mai fatto male alcuno,
ma ricevendo solo scherni e rutti.
     Chiesi al poeta allor, ch’ero digiuno,
ed ei mi ragguagliò sul caso strano
di chi senza toccar bambino alcuno
     trovossi sì scoperto il deretano.
– Son quelli ch’han difeso e ch’hanno assolto
come costui ch’era carmelitano,
     qual fosse a loro stessi stato tolto
da quei perversi della peggior specie
il bel sorriso dei bambin dal volto,
     al posto del buon Dio ed in sua vece.
Maxime, tra superbia e presunzione,
di poter farlo sol con una prece.
     Un prete di Ferrara, Pietro il nome, –
nel proseguire mi spiegò il divino,
– scoprì per figlio un grosso ragazzone
     allor che la sua madre, quel meschino,
aveva da  bambina violentato.
E dopo aver negato per benino
     messo alle strette fu da un magistrato,
giustificando la rinnegazione
perché’l Signor l’aveva perdonato
     per mezzo dell’indegna assoluzione
di quello frate urlante ormai dannato.
Ma presto avrà la stessa punizione.
     Per questo – disse Dante – m’hai sognato.
– Che né perdono né salvezza avrà
colui che d’un bambino avrà abusato.
                                    Ma sol l’inferno per l’eternità – 

                                                       FINE

venerdì 22 novembre 2013

IL DECLINO


Ovunque solo amici degli amici.
Dove s’infrasca il fiume che non vedo?
Io quel passato certo non rinnego,
ma chi è che l’ha recise le radici?
Non lo capisco più quello che dici.
Il sorrisetto astuto e’l dir “io credo”,
furbetto l’occhiolino nel congedo.
E chi non ha padrini? Infelici.
Lo sono diventato tuo malgrado,
bizzarro, vero? Quel che‘l caso fura.
Anche se m’hanno detto i precursori:
non tutti posson fare i professori.
E quei di cui vi siete presi cura
li ho visti tutti a capo del degrado.
Spogliato e di giustizia il tuo contado,
disperse sempre dagli stessi venti
le merci dei granai e le sementi.


martedì 19 novembre 2013

IL CANTO MANCANTE - Terza parte



     Trema l’anima prava a quell’azione,
quando dall’alto ella se n’avvede,
che lenta va a riempire un siringone
     ed ai suoi occhi quasi non ci crede,
quando dal basso l’infernal natura
ridendo glielo svuota nella sede.
     Ei strilla dalla scomoda postura
e sbatte e scalcia e del destin si rode
e lento s’avvicina alla creatura.
     Bramoso il mostro nulla più non ode,
prefigurando intenso quel piacere
che gli daranno quelle chiappe sode,
     quando grondanti e luride a vedere
giunte saran dei baffi alle radici
e nulla più gl’impedirà di bere.
     Orribile vision per gl’infelici
l’orrido pelo, ratto il movimento,
dagli occhi fiammeggianti e le narici
     che sbuffan fumo intorno come vento,
mentre la lingua guizza in alto e sale
avanti e ancora indietro a piacimento.
     S’inarca allor l’infame per il male
e stride, mentre i diavoli eccitati
lo batton con le forche e con le pale
     ballando intorno, il mucchio scalmanato
sprizzando gioia e gran soddisfazione
nel corso del supplizio del dannato.
     Finché quel mostro orrendo non ripone,
nel sibilar e torcersi qual ola
del meschino, saziatosi benone,
     la ruvida e bruciante lingua in gola.
S’acqueta allora il satanasso urlante
mentre s’accascia l’alma sfatta e sola.

                                                                  CONTINUA

domenica 17 novembre 2013

IL MARE DI LAMPEDUSA



Spunta e biancheggia dalla sabbia ardente
il senso oscuro della vita umana.
Struggente il soffio di pietà promana
verso chi se lo chiede e se lo sente.
Dispersa ormai la fila della gente,
lo strepitar nella deserta piana.
Ma dove va il dolore? Chi lo chiama
ad ingrossare il pozzo e la sorgente?
Partite per sfuggire dal sopruso
di padri, di fratelli e tradizioni
come da quelle parti ancora s’usa,
viaggiando nel terrore dell’abuso,
sbattute dentro fradici barconi
nell’infuriar dell’onde a Lampedusa.
Sopravvissute quelle, alla rinfusa
or respirando sulla tolda un poco.
Stuprate dalla vita prima e dopo.

giovedì 14 novembre 2013

IL CANTO MANCANTE (Seconda parte)



     – Ma chi son questi? Chi è questa gente? –
porgo al poeta la domanda mia
e lui risponde assai pacatamente:
     – sono i dannati per pedofilia,
la feccia della triste faccia umana
e mancan dai gironi a causa mia –
     Sedevan costor dunque in posa strana
sul piano di trasporto senza lacci,
addosso solamente una bandana
     fissata bene al nastro tra i polpacci
e ai didimi legata stretta stretta.
Il resto pelle nuda e niente stracci
     in bilico, a rischiar l’anima abietta
ognor di penzolar per i coglioni,
se non si fosse sempre ben sorretta
     stringendo con le mani degli occhioni
fissati ad una corda sovrastante.
E sotto a loro diavoli e demòni
     ed una tetra bestia dal sembiante
di un laido e gigantesco formichiere
dall’aspra e scabra lingua rosseggiante
     al par di spada d’uno cavaliere,
che quando arriva l’anima dannata
gl’infila a mò di dardo nel sedere.
     Su quella mobil banda abbarbicata
giunge lei dunque dentro il cavernone
e avanza lentamente frastornata;
     fremono i satanassi ed il bestione,
vedendo calcitrare il disgraziato
tenuto bene a bada col forcone,
     mentre ch’alcuni diavoli di lato
riscaldan lo schifoso beverone
di cui il mostro sempre ghiotto è stato.    

CONTINUA

mercoledì 13 novembre 2013

SPERANZA



Speranza dice che si deve dare
l’IMU, che la possiam pagare.
L’ho visto ieri sera a Ballarò.
Certo, anche il sangue lo si può donare
amici, ma ai vampiri no!

Davvero ancora tu lo puoi votare
chi non s’è vergognato di tassare
perfino la raccolta dei funghetti?
Lasciamoli tra loro ormai parlare,
la profittante razza degli inetti.

domenica 10 novembre 2013

IL CANTO MANCANTE (Prima parte)




     Un fremito al ricordo del poeta.
Stanotte l’ho sognato ed era lui,
parlandomi di cosa assai segreta
     e una richiesta straordinaria, al cui
pensier  tosto m’assale lo sgomento
e la paura a raccontarlo altrui.
     Mi chiede dunque l’Alighier memento
d’aggiungere dei versi alla commedia,
ch’egli altrimenti mai sarà contento
     se alla mancanza alcuno non rimedia.
L’infera simmetria non ha concento
senza l’aggiunta al desco d’una sedia.
     – Ma – gli dico con voce senz’accento
– come potrò mai farlo mio divino,
se manco di parole e di strumento? –
     – Non serve tanto l’esser sopraffino –
egli mi dice molto comprensivo
– ma che ci sia del corpo dentro il vino
     e tutto il resto non sarà cattivo.
Tu lo dirai con le parole tue
il mio pensier ancor ardente e vivo –
     E dunque, tra ‘l mugghiar come di bue
e le risate grasse per lo scherno,
ecco venire innanzi l’ombre sue.
     C’è come, nella grotta dell’inferno,
un nastro che trasporta le persone
che gira sempre e che non sta mai fermo
     senza che mai si veda una stazione.
A qualche metro dalla terra scura
si scorge gente sopra senza nome,
     il posteriore in vista e ben in cura,
che ampia un’apertura lo consente
d’individuar da sotto la lordura.

CONTINUA