lunedì 15 maggio 2017

LA LAUREA



Recenti polemiche su un politico non laureato,  mi hanno riacceso lo stupore per la fiducia degli italiani nel titolo di studio. Infatti non mi spiego la ragione per la quale un popolo, la cui storia ha reso tra i più increduli del mondo, possa seriamente attribuire tanta importanza ad un pezzo di carta, rilasciato per giunta da un “Ente pubblico”.
La premessa che i nostri nonni analfabeti erano soliti rivolgere ironicamente a qualche istruito, quando dicevano: “Tu che hai studiato!”, mi fa escludere l’ignoranza.
Infatti, come il gatto che istintivamente si ritrae dall’uomo che non conosce, l’ignoranza non assopisce l’istinto naturale alla diffidenza.
Non resta dunque che pensare a qualche strano meccanismo di istupidimento collettivo, che ha portato gli italiani ad essere il popolo dei dottori, e l’Italia il luogo in cui il fatturato dei produttori di targhe e timbri è in costante aumento.
Certo, la laurea sancisce il termine di un corso di studi indispensabile, laddove sia richiesta una capacità che si impara soltanto dopo lunghe fatiche. Nessuno affiderebbe infatti la costruzione di un ponte a qualcuno che non sia un ingegnere.
Ma questo riguarda tutti coloro che raggiungono capacità specifiche. Se lo studio è l’acquisizione di una competenza, forse non si deve definire studio la fatica dell’artigiano o del pittore, che vuol raggiungere la perfezione nel proprio lavoro?
Nessuno di noi, però, affiderebbe la costruzione di un tavolo a un falegname, soltanto perché ci esibisce un diploma.
La laurea invece pretende il rispetto sulla fiducia e marcia tronfia e impettita, nella pretesa di farci credere che una semplice attestazione sia sufficiente a garantire una vera competenza, per giunta da far valer valere per tutta la vita.
Invece  ciò che si è imparato si può anche dimenticare, mentre ciò che non si può perdere sono le doti che dovrebbe avere un politico, l’equità, la saggezza, la moderazione, la capacità di decidere,  che non si conseguono con un titolo di studio.
Inoltre, mentre l’artigiano riceve con la consegna dell’opera anche il controllo sul suo lavoro, la caterva di targhette ridondanti di Dr. e Dr.ssa sulle porte dei ministeri, delle banche, del servizio sanitario, delle regioni e dei vari enti inutili, quale controllo ricevono?
Esse sono la doratura che nasconde il metallo scadente sottostante, perché pare francamente difficile che una classe politica, dalla rara bassezza morale come quella che ha governato negli ultimi cinquant’anni, si sia lasciata sfuggire l’occasione di mettere le mani su uno strumento simile. E che le lobby per la difesa di se stesse, di cui trabocca questo paese, non siano riuscite a fare il miracolo di far passare attraverso la stretta cruna dei concorsi pubblici, non i cammelli ma gli asini.  
Se il gioco non fosse truccato non vedremmo le trote con la laurea ed i giovani migliori emigrare all’estero. Tant’è che, in questa ottica, un politico senza quel titolo di studio offre forse migliore affidabilità. Meditate gente, meditate.
La fiducia attribuita al pezzo di carta trova piuttosto riscontro soltanto nell’inefficienza ed ognuno di noi si è imbattuto almeno una volta nella vita in qualche imbecille, messo a dirigere un settore pubblico.
Il laureato che sa fare il proprio mestiere non ha bisogno di nascondersi dietro una pergamena. Ma chi non lo sa fare farebbe la fame, se valesse la competenza. Costoro non si vergognano di far finta di non sapere che, se esiste una disciplina, ci deve essere stato prima qualcuno che l’ha resa possibile. Ovviamente senza laurea. Dunque, la capacità e il merito non possono dipendere da essa.
Né Galileo Galilei, né Eugenio Montale né Steve Jobs erano laureati.

Nessun commento:

Posta un commento