mercoledì 26 febbraio 2014

IO NON LE SENTO



Io non le sento nascer né salire.
Sgorgano come l’acqua dolce
ed ipogea delle  silenti vene
d’una corteccia  algente
nel fervente corpo di terra
e roccia solidificata. Fumiganti
volute d’instancabili rovelli
e laceranti dubbi che s’ergono
salienti verso il chiarore cerulo
di verità lontane. E senza fretta,
a loro circonfuso, un cruccio
che scompare nella parola avita
mi rende meno amare le strade
della vita, anguste e ricorrenti.

sabato 22 febbraio 2014

MANPAESÀN*



Ce so’ pasat tant volt
davant’ a casa tua;
ce giv sempre de corsa
a scola malasò.
Mo era sempre chiusa
la finestra e anca s’er
sudat e’n po’ afannat,
i m’acorgev che dentra
chi salon en c’eri piò.
El so che si git via
Lello, per te era strett
Urbin e ‘l Duca ormai
stava a San Bernardin.
Era cminciat da già
el declin de sta città?
Dmenica scorsa ho fatt
un gir sa la moi mia
tra ‘l dom e ‘l tribunal
vicin a l’ospedal
che ‘l vecch, sopra le mura.
Ce credi? Manca ‘n purett
en ho incontrat; tutt vot
e chius da fè paura.
Che angoscia, che tristessa
a veda du so nat
sensa più manc un gatt,
tutt rott e tutt scrostat
cum quant i l’ho lasciat.



* Dialetto d’Urbino






TRADUZIONE

A UN CONCITTADINO



Ci sono passato tante volte
davanti a casa tua;
ci andavo sempre di corsa
a scuola lassù.
Ma era sempre chiusa
la finestra e anche se ero
sudato e un po’ affannato
io m’accorgevo che dentro
quei saloni non c’eri più.
Lo so che sei andato via
Lello, per te era stretta
Urbino e il Duca ormai
stava a San Bernardino.
Era già cominciato
il declino di questa città?
Domenica scorsa ho fatto
un giro con mia moglie
tra il duomo e il tribunale
vicino all’ospedale
quello vecchio sopra le mura.
Ci credi? Neanche un poveraccio
ho incontrato; tutto vuoto
e chiuso da far paura.
Che angoscia, che tristezza
vedere dove sono nato
senza più neanche un gatto,
tutto rotto e scrostato
come quando l’ho lasciato.

martedì 18 febbraio 2014

LA MORALE



Stinto lucore oggi alla marina
gravata orrendamente da un grigiore
che all’infinito al cielo la confonde.
Nel languido torpore dell’aurora
ansante ed indefessa la creatura
violenti sputa scrosci di salino
e di tagliente umore che si sfrange
sulla nudata roccia massacrata.
E blanda riversando dalle onde
sul mondo emerso attonito che sta
rigurgiti bestiali di pattume
con l’incuranza  della sua natura
ci dice con conati spaventosi
che quello che lei ebbe lo ridà!

giovedì 13 febbraio 2014

LA BARAONDA


Di rimbalzo mi si inficca
a due dita dalla gola
quel proiettile che spicca
fuori dalla tua pistola;

tu sorridi ed io con calma
dico a voce assai severa:
non si punta addosso l’arma
anche s’essa non è vera.

Guarda e ride tuo fratello
nulla dice la nonnina
mentre tu tra questo e quello
mi rispari come prima.

Nipotino mio diletto
se continui mal mi fai
odi quello che ti ho detto
smetti di spararmi, dai!

Ma l’invito non affonda
nella zucca tua piccina
e un’intensa baraonda
lentamente s’avvicina.

Quello strepito all’interno
aumentato a dismisura
si trasforma in un inferno
senza più nessuna cura;

son colpito sulla testa
son colpito nel decoro
né la furia più s’arresta
né per me c’è più ristoro.

Ella muta par che rida
sornioncina sotto i baffi,
il fratello guarda e sfida
ed aspetta che m’abbassi

per schivare quel furore
ormai più senza controllo
che colpisce senza cuore
con la mira sempre al collo

fino a quando repentino
io gli afferro e stringo il dardo
e zittisce il poverino
all'inaspettato azzardo.

Speranzoso adesso  guardi
che s’allenti la mia presa
ma dagli occhi miei beffardi
s’intravede una sorpresa.

A osservarlo mi abbandono,
è verdino, lungo e bello
e nell’aria manco un suono
quando io te lo sbrindello

con piacere a te davanti
senza proferir parola
mentre tu con gli occhi affranti
butti via la tua pistola

e ti getti disperato
in un pianto assai dirotto
per fiondarti tutt’un fiato
dalla mamma tua di sotto.

Non c’è spiegazion di sorta
quando tu te ne vai via
la tua nonna gattamorta
ha una crisi d’isteria

e mi strilla là per là
che lo vede, che lo sente
che da qualche tempo in qua
non capisco io più niente

mentre Jago interpellato
come fanno i legulei
dice serio ed aggrottato
che ha ragione solo lei.

Sale intanto la mammina,
ragazzina tanto amata,
tiene al figlio la manina
e mi guarda disperata

come dir: che cos’hai fatto
al mio povero bambino?
e la nonna: è un mentecatto!
dice in mezzo a quel casino.

Son reietto e biasimato
privo d’ogni comprensione
quando triste e sconsolato
vado verso il mercatone

dove quell’infausto giorno
han finito le cartucce
e mi tocca far ritorno
per la strada di Babbucce

con in mano un pacchettino
che contiene due pistole
da elargire al furbettino
luccicanti nuove nuove

affinché prendendo il dono
e sperando che gli piaccia
mi conceda il suo perdono
e che non mi spari in faccia.

martedì 11 febbraio 2014

L'INVERNO



Lo so che non la senti,
scusa… se vado via;
per me s’è fatta sera.
Dopo una vita intera
non canto più all’inverno.
Per questa mia poesia
ci vuol la primavera.

mercoledì 5 febbraio 2014

L'APPARATO




Successe in Palestina tempo fa.
Profeta come tanti eppur diverso
perché la gente, dentro l’occhio terso,
vedeva una discorde verità.

Ma l’Apparato invece di traverso
compatto s’ammassò con ansietà
alla ricerca, senza dignità,
di rendere quel verbo controverso.

Compreso che costui facea sul serio
uniti si recaron dal padrone
piatendo un solo bieco desiderio,

ché l’uomo è dolce, affabile e sornione
ed usa il suo veleno con criterio,

ma solo se gli dai sempre ragione.

lunedì 3 febbraio 2014

LO SCONTRO GENERAZIONALE


Mettilo in pausa il cuore stamattina.
Giova, fratello, puntellar la frana?
L’umore che l’intride nella trama
presto farà crollare la collina.

Che il solco porti l’acqua nella piana
l’insegna la saggezza contadina.
Se tu ci avessi un po’ pensato prima
forse i tuoi figli – la parte lontana

dal privilegio e dalle garanzie,
dagli intrallazzi e dai saloni austeri,
soggetta solo alle vigliaccherie

dei piccoli ricatti giornalieri,
l’infiorescenza insomma della vita,
non si sarebbe mai così indurita.

Ed or ch’è la fiducia ormai sparita
Augias e Fazio. Arranca la Bignardi,
ma quello vola! Non è troppo tardi?

sabato 1 febbraio 2014

AI MIEI NIPOTI


La luce fredda d’uno schermo piatto
vi tiene sulle spine,
mentre vi ronfo intorno come un gatto
per porre ad essa fine.


Vi parlo allor di vecchie ormai stagioni,
di pietre arroventate.
Di braccia aduste tese sui covoni.
Di limpide serate.

D’androni strepitanti di bambini
l’orecchio vi accarezzo,
che tengon sottobraccio i giornalini
in palio a sette e mezzo.

Pieni i torrioni di canaglie urlanti
che tirano a pallone
colpendo abbandonati anche i passanti
alla rassegnazione,

vi dico. E degli stoppacci aguzzi
il volo sincopato
sull’erte scalinate, bianchi a spruzzi,
e il grido: l’ho ammazzato.

Di fughe per i vicoli consunti
sfuggendo un grosso ombrello
vi racconto, quando impazzito a quello
suonò il suo campanello.

E vi descrivo quei rocchetti strani
legati ai cinturoni
fatti da chi lanciava con le mani
in aria gli aquiloni.

Di file di palline in posa lasca
con il gran gullo in testa
e quelle vinte a risuonare in tasca
come campane in festa.

Di tutto questo infin vi posso dire,
qual favola di sera
però; che mai potreste voi capire
ch’è la mia infanzia vera.