giovedì 25 maggio 2017

I STAND WITH MANCHESTER




Personalmente già dal tempo in cui si sono cominciati ad uccidere i redattori dei giornali satirici, che nel bene o nel male esercitavano un diritto conquistato in occidente dai difensori della libertà contro l’oscurantismo, mi sono fermato a riflettere. E oggi, dopo l’ennesima strage di innocenti, mi chiedo se anche coloro i quali pensarono allora che in fondo se l’erano cercata, adesso si fermeranno a farlo. Se faremo ancora in tempo a salvarci dipende infatti dalla presa di coscienza di un pericolo, e non tutti sembrano percepirlo.
Quando milioni di persone di cultura e religioni diverse premono per entrare, rischiando addirittura la vita, non è più tempo però di discussioni sterili. E una democrazia che vuole accogliere chi democratico non è, deve essere una democrazia che puntella e protegge con convinzione le proprie fondamenta.
Solo un robusto recinto mantiene gli armenti al pascolo ed impedisce che si scontrino. E questo recinto si chiama Stato laico. Uno Stato nel quale tutte le religioni siano possibili, purché non interferiscano nella sua gestione e ne rispettino le leggi. 
La posizione dei nostri governanti, però, è ben diversa. Essi cedono sempre, e se non fosse che alienano ciò che altri hanno conquistato con il sangue, sarebbero solo patetici. Davanti alla chiesa cattolica, che  strilla più di tutte da sempre il suo preteso diritto di occuparsi della cosa pubblica, hanno ormai rinunciato a qualsiasi dignità. Come si potrà impedire, allora, che non lo pretendano anche gli altri? Vedremo le mezzelune accanto ai crocifissi nelle scuole ed avremo insegnanti di religione musulmana pagati con i soldi delle tasse di tutti i cittadini?  Verranno gli imam a benedire negli uffici pubblici? Avremo leggi diverse a seconda della religione che praticano i cittadini? Saremo curati da medici testimoni di Geova che non faranno trasfusioni perché obiettori?
A differenza di quello che vogliono farci credere, le religioni non potranno mai andare d’accordo tra di loro. Esse contengono, infatti,  al loro interno l’innesco del conflitto, poiché si arrogano il possesso di un bene salvifico e indivisibile: la verità. Ma come una barca non si può dividere in due, poiché in quel caso non si salverebbe più nessuno, così la verità non si può dividere tra le varie religioni, ed una soltanto ne vorrà mantenere il possesso, contro tutte le altre.
È interessante osservare come si dipani lo sforzo di alcune intelligenze per dimostrare l’indimostrabile. Che la religione non c’entra con la violenza, e che chi uccide gli infedeli nel nome del suo dio, in realtà intende qualcosa di diverso da quello che proclama. Ma chi vuol fare questo si arrampica solo sugli specchi. Poiché sarebbe come  voler dimostrare che una rampa per missili sia un pulpito per prediche di pace. Certo, esso può essere usato anche per questo, ma non è quella la sua origine. La religione monoteistica è nata proprio per trasformare gli uomini in strumenti nelle sue mani. E solo a questo scopo, nonostante qualche ascetico riformatore successivo che però è stato fatto fuori, fu modellata in tante forme dai diversi poteri che l’hanno diretta.  Si legga la Bibbia. Ci vuole la religione, infatti, per far commettere ad un uomo buono i peggiori delitti. Che cosa sarebbe altrimenti il marchio dell’appartenenza che viene appiccicato sin dalla nascita a bambini innocenti, per farli sentire diversi tra di loro? E che cosa l’indottrinamento a cui vengono sottoposti, fin dalla più tenera età?  Datemi un bambino prima dei sette anni e ne farò quello che voglio, diceva un illustre gesuita. Il battesimo, la circoncisione e qualsiasi altro rito di iniziazione, non sono se non segni del potere di una casta di preti sugli esseri umani. E se oggi questo potere non viene usato in Europa è solo grazie allo spirito dell’Illuminismo, che ha pervaso la nostra cultura occidentale e ci ha aperto gli occhi. Ma non è affatto escluso che non si riveda all’opera, come lo fu nei secoli bui dei roghi e delle scomuniche reciproche. Il sonno della ragione genera mostri.

lunedì 15 maggio 2017

LA LAUREA



Recenti polemiche su un politico non laureato,  mi hanno riacceso lo stupore per la fiducia degli italiani nel titolo di studio. Infatti non mi spiego la ragione per la quale un popolo, la cui storia ha reso tra i più increduli del mondo, possa seriamente attribuire tanta importanza ad un pezzo di carta, rilasciato per giunta da un “Ente pubblico”.
La premessa che i nostri nonni analfabeti erano soliti rivolgere ironicamente a qualche istruito, quando dicevano: “Tu che hai studiato!”, mi fa escludere l’ignoranza.
Infatti, come il gatto che istintivamente si ritrae dall’uomo che non conosce, l’ignoranza non assopisce l’istinto naturale alla diffidenza.
Non resta dunque che pensare a qualche strano meccanismo di istupidimento collettivo, che ha portato gli italiani ad essere il popolo dei dottori, e l’Italia il luogo in cui il fatturato dei produttori di targhe e timbri è in costante aumento.
Certo, la laurea sancisce il termine di un corso di studi indispensabile, laddove sia richiesta una capacità che si impara soltanto dopo lunghe fatiche. Nessuno affiderebbe infatti la costruzione di un ponte a qualcuno che non sia un ingegnere.
Ma questo riguarda tutti coloro che raggiungono capacità specifiche. Se lo studio è l’acquisizione di una competenza, forse non si deve definire studio la fatica dell’artigiano o del pittore, che vuol raggiungere la perfezione nel proprio lavoro?
Nessuno di noi, però, affiderebbe la costruzione di un tavolo a un falegname, soltanto perché ci esibisce un diploma.
La laurea invece pretende il rispetto sulla fiducia e marcia tronfia e impettita, nella pretesa di farci credere che una semplice attestazione sia sufficiente a garantire una vera competenza, per giunta da far valer valere per tutta la vita.
Invece  ciò che si è imparato si può anche dimenticare, mentre ciò che non si può perdere sono le doti che dovrebbe avere un politico, l’equità, la saggezza, la moderazione, la capacità di decidere,  che non si conseguono con un titolo di studio.
Inoltre, mentre l’artigiano riceve con la consegna dell’opera anche il controllo sul suo lavoro, la caterva di targhette ridondanti di Dr. e Dr.ssa sulle porte dei ministeri, delle banche, del servizio sanitario, delle regioni e dei vari enti inutili, quale controllo ricevono?
Esse sono la doratura che nasconde il metallo scadente sottostante, perché pare francamente difficile che una classe politica, dalla rara bassezza morale come quella che ha governato negli ultimi cinquant’anni, si sia lasciata sfuggire l’occasione di mettere le mani su uno strumento simile. E che le lobby per la difesa di se stesse, di cui trabocca questo paese, non siano riuscite a fare il miracolo di far passare attraverso la stretta cruna dei concorsi pubblici, non i cammelli ma gli asini.  
Se il gioco non fosse truccato non vedremmo le trote con la laurea ed i giovani migliori emigrare all’estero. Tant’è che, in questa ottica, un politico senza quel titolo di studio offre forse migliore affidabilità. Meditate gente, meditate.
La fiducia attribuita al pezzo di carta trova piuttosto riscontro soltanto nell’inefficienza ed ognuno di noi si è imbattuto almeno una volta nella vita in qualche imbecille, messo a dirigere un settore pubblico.
Il laureato che sa fare il proprio mestiere non ha bisogno di nascondersi dietro una pergamena. Ma chi non lo sa fare farebbe la fame, se valesse la competenza. Costoro non si vergognano di far finta di non sapere che, se esiste una disciplina, ci deve essere stato prima qualcuno che l’ha resa possibile. Ovviamente senza laurea. Dunque, la capacità e il merito non possono dipendere da essa.
Né Galileo Galilei, né Eugenio Montale né Steve Jobs erano laureati.

martedì 9 maggio 2017

LA RIPARTENZA




Nata per necessità  e cresciuta per caso, la vena del Menestrello si va esaurendo.
Anche i grafelli infatti, benché di specie assai più bassa, appartengono al genere della poesia e come questa nascono spontanei come i fiori degli alberi, che senza più linfa avvizziscono e muoiono.
Non so dire dunque se essi rifioriranno, perché non dipende dalla volontà la voce interiore che parla attraverso di essi.
Tuttavia l’esperienza del Blog è stata gratificante e mi dispiace abbandonarla. Per questo, anche senza la versificazione giambo - gnomica - scherzosa ─ mi si consenta soltanto per una volta una definizione vagamente erudita ­─ fin qui prodotta, mi piacerebbe continuarla.
Infatti la scrittura mi è sempre stata più congeniale della parola, che considero un semplice blaterare, dato che il discorso libero non consente mai la riflessione, mentre dalle larve informi del segno scritto, talvolta possono nascere splendide farfalle.
Inoltre il vantaggio del Blog è che si può dire senza riserve quello che si vuole, senza tema di essere contestati, ricavando perciò la piacevole sensazione di avere sempre ragione.
Per questi motivi dunque esso continuerà ancora. Con brevi riflessioni in prosa e, forse, con qualche lirismo effimero di poche pretese, mantenendo lo stesso “format”.
Grazie a tutti coloro che mi hanno seguito  fin qui e buona lettura a tutti quelli che continueranno a farlo.