giovedì 31 dicembre 2015

INVOCAZIONE



Con i mattoni dell’avversata scienza
adesso fanno pulpiti e ostensori
servendosi di chi gli altrui valori
li svende per la voglia di potenza.
Vedrai che presto copriran di allori,
dimenticando pure la decenza,
colui che ne sfidò la supponenza
dal legno ardente di Campo dei Fiori.
E tutto sotto il velo del perdono
nel tessere in modo più intrigante
la tela della vecchia strategia,
che parte dal bambino e rende l’uomo
dalla ragione sempre più distante
e fa la verità fuggire via.
Oh nuovo anno, fallo tu che sia
emancipata la televisione
dall’ignobile pia prostituzione.

giovedì 24 dicembre 2015

BUON NATALE



Nella notte ch’è dell’anno
la più nera senza eguale
solca il cielo con affanno
solo lui: Babbo Natale.
Tra l’immensità perenne,
sulla slitta traboccante,
ad un cenno le sue renne
lo trasportano all’istante
nelle case dei bambini,
che l’aspettano impazienti
dalla cappa dei camini
delle più svariate genti.
Dalla sua costellazione
lui non vede differenze,
ma soltanto l’espressione
delle stesse sofferenze.
Dallo spazio più profondo
lui lo sa che le creature
vivon nello stesso mondo
e son piene di paure.
Dai silenzi siderali
lui lo vede che la vita
non è mai ovunque uguale,
ma di varietà infinita.
Ma poiché all’uomo educato
non può chiedere la fede,
perché ha il cuore già impegnato
e al diverso più non crede,
così è solo all’innocenza
che ancor hanno i bimbi buoni
che dispensa con pazienza
il conforto dei suoi doni.


sabato 19 dicembre 2015

LA BRUTTURA IMMORALE


Oh,
batt e arbatt,
alla fin el  trova,
quel  che per  gnent
va  in  gir  a  rompa  i ova
e tropp anca i coioni ma la gent
e che ‘n television va a fè da matt,
el  mod  per  arvinas  e  per  fas   mal.
E che sensa savé manc chi l’ha fatt
s’incassa anca sa i alber de natal!
E
tanti
 auguri
Vittorio
d’arnì
prest
a Urbin.
Pro,
dop le fest!




TRADUZIONE


Oh,
batti e ribatti
alla fine lo trova,
quello che per niente
va in giro a rompere le  uova
e troppo anche i coglioni della gente
e che in televisione fa da matti,
il modo per rovinarsi e per farsi male.
E che senza neanche sapere chi l’ha fatto
s’incazza anche con  con gli alberi di natale.
tanti
auguri
Vittorio
di tornar
presto
a Urbino.
Però,

dopo le feste!

sabato 12 dicembre 2015

CARO ELETTORE



Caro elettore, pare che qualcuno
di cui ti sei fidato ciecamente
abbia messo sul lastrico la gente
e dica che la colpa è di nessuno.
Certo la vita andava allegramente
quando si divideva un po’ per uno
perché c’era qualcosa per ciascuno
a scapito di tutta l’altra gente.
Ma se pure il cinghiale con il fumo
che il fuoco poi divampi non attende,
anche se privo dell’intelligenza,
com’è che ti sfuggì la differenza
tra quel che i soldi invece te li rende
e quel che ti lasciò solo il profumo?

lunedì 7 dicembre 2015

L'OMBRA


Il vento caldo
d’un sole indifferente
staglia l’ombra
d’un vecchio sulla strada
curvato sul bastone,
evanescente.
Incede piano,
nello sforzo intenso,
su per la salita.
A volte scura,
a volte quasi assente
o più sbiadita.
La guardo e penso
a dove se ne vada
quest’esistenza lieve,
dal passo incerto
e dal futuro breve.
Poi un tremore arcano
dal simulacro stanco
mi fa fuggir lontano
e affretto l’andatura.
Ma l’ombra
mi sta sempre a fianco,
ed ha la mia postura.

martedì 1 dicembre 2015

LA SCUOLA LAICA



Oh, che disastro, e corre,
sul filo telefonico intasato;
oh, che disastro, e va,
sull’onda trasparente di What’s up.
Crespina tacchi a spillo mandolina,
che finalmente adombra nell’indigno
una reazione forte per l’andazzo.
E smuove, contro il direttor maligno,
Tintina e la Rossiccia calapina,
chiamandolo tra lor testa di cazzo!
C’è movimento fuori dalla scuola;
freme la gonna scettica e aderente.
Vuol togliere ai figlioli anche il natale,
strillano parlando di quel  pazzo,
a capo dell’istituzion statale.
E delle leggi... non gliene frega niente!


venerdì 27 novembre 2015

IN MEMORIA DI VALERIA




Quando si strappa un fiore dalla terra
si toglie un po’ di luce dal giardino
così nella penombra appare guerra
l’odio feroce d’un perfido assassino.

Ma quando incalza forte il temporale
e li divelle tutti ad uno ad uno
e non è solo l’artefice del male,
dal buio non si salva più nessuno.

Lo strepito e il ruggir della tempesta
si sente allora ovunque a noi d’intorno
ma non s’accorge della notte pesta
colui che non ha mai veduto il giorno.

Uomini vaghi, dal pensiero scalzo,
faziosi sia per l’odio e il pregiudizio,
vissuti solo e sempre di rimbalzo
con l’occhio fermo al calcolo ed al vizio;

ciechi tra ciechi, su superbi lidi,
ci guideranno adesso  oltre la china?
Ma senza alcuna luce che li guidi
come la troveranno la mattina?

Non c’è bellezza dove c’è il rancore
come non c’è la terra in mare aperto
e dove non rampolla mai  un fiore
c’è solo oscurantismo ed il deserto.

Per questo è molto facile predire
che non avrà speranza la nazione
che non conosce il modo d’impedire
di nuocere ad ogni religione.

Ebbe l’Italia ben diverso abbrivio,
di questi numi di democrazia,
mandati da chi vive nell’obblivio
ad inchinarsi alla teocrazia,

aprendole le porte piano piano
nel nome santo della libertà,
senz’ aver dato al popolo italiano
il sacro germe della laicità.

Antidoto prescritto dalla storia
contro i nemici dell’umanità!

lunedì 23 novembre 2015

STUPACCEPALIN


En c’era sol cla volta i aquilon,
mo c’erne anca i stupacc e le palin
tra i gioch che facevam p’i vigulin
o tle piassett opur in ti torrion.
Guatti guatti, nascosti in ti porton,
sa l’occh de guardia dietra ‘n buganin,
 odiati cum la rogna dai spassin
p’la carta ch’i gontava dai bidon.
E quand’argivi a casa, ch’era sera,
sonaven tla saccoccia le palin
c’movevi tutt content tra i dit dla man,
cum quant avessi vint chisà sa ch’era!
E te pareva anca più bella Urbin,
quand givi a lett per arcmincé già dman.





Della serie: Quel c’marcord d’Urbin




Traduzione



Stoppacciepalline



Quella volta non c’erano solo gli aquiloni
ma anche gli stoppacci* e le palline
tra i giochi che facevamo per i vicoli
oppure nelle piazzette o sui torrioni.
Rinserrati e nascosti nei portoni,
con l’occhio di guardia attraverso una fessura,
odiati come la rogna dagli spazzini
per la carta che gli tracimava dai bidoni.
E quando la sera tornavi a casa
suonavano in tasca le palline
che muovevi tutto contento tra le dita della mano,
come se avessi vinto chissà che cosa!
E ti sembrava anche più bella Urbino
quando andavi a letto per ricominciare il giorno dopo.




* Stoppaccio = Cono di carta da sparare con la cerbottana.

martedì 17 novembre 2015

STUPORE




Nell’atro pozzo del mistero umano
la luce penetrava a malapena
e chi tentava di guardar lontano
era tenuto sempre alla catena.
Così la melma scura del pantano,
che non sembrava affatto cosa oscena,
avrebbe reso inutilmente vano
il grido di dolore e della pena.
Ma quando cadde il sole sulla terra
bastò la luce per la verità,
che la visione univoca rinserra
nel disvelare ogni falsità.
Ma chi lo seppe mai dopo la guerra
s’era più vero Iddio oppure Allah?

mercoledì 11 novembre 2015

LA SIRENA



Oggi è infossato il mondo
e le persone
ombre fluttuanti e vaghe,
muti fantasmi
avvolti nella nebbia.
Scomparse all’improvviso son le strade
e se mi guardo in tondo,
non vedo più certezze, ma gran pena.
Un suono cupo giunge di lontano,
oltre il fermo grigiore,
oltre l’assenza.
Pensavo fosse forse una sirena,
ma era solo l’orrido rumore
che fa l’indifferenza.

sabato 7 novembre 2015

LOTTA ALL'EVASIONE




Stufo di chi gli succhia sempre il sangue
l’esasperato Italico Elettore
ritrova quel coraggio che gli langue
e ratto cambia l’Amministratore.
Perché contro l’arguto parassita
non c’è che d’applicare quella cura
che  fa sparir  quel che lo tiene in vita
e fa seccare il  brodo di coltura.
Così con grandi annunci e lancia in resta
innanzi all’assemblea condominiale,
la dura guerra il nuovo duce appresta
alla zanzara autoctona fiscale.
Spazio per l’evasione più non c’è!
Trema l’usura e piangon le mammane,
ma sol per poco, poiché vedon che...
scoperchia i pozzi e allaga le fontane.

martedì 3 novembre 2015

giovedì 29 ottobre 2015

LA GIOVINEZZA 1



Tumulto di suoni e profumi
lo slancio proteso nel vento
tra ciocche dorate e l’argento
più vivo dell’acqua dei fiumi.
Un languido vago fermento
di mondi diversi traspare
da azzurre di limpido mare
pupille di dolce portento.
Poi sale la nube leggera
s’invola un pensiero deciso
sprigiona il mistero la terra
e scordi la vita che c’era
finché marcia forte il sorriso
e rugge il tamburo di guerra.

sabato 24 ottobre 2015

LA MISERIA



En te devi mett’a rida
se te dich che dop la guerra
la miseria fava strida
Chi en lavrava tel comun
o per l’Università
el destin sc’laveva trist
e tel dic sensa bugia:
i ‘l mi padre poc l’ho vist,
perché se vlevam magné
i tocava da emigré.
I m’arcord che s’givi in piassa
in Urbin era pien d’gent
dal matin fin’alla sera,
mo nessun faceva gnent.
En m’arcord tutt quel ch’è stat,
mo m’arcord cum fossa ogg
che tla strada sc’nera tant
sa i calson tuti straciat
ch’arcoieven da per terra
tutt le cicc anca fumant.
En te devi mett’a rida
se te dich che dop la guerra
la miseria fava strida.
I m’arcord che tun chel temp,
che adess sembra acsé lontan,
de du rass era la gent
sia cla bona che cla trista.
C’eren i democristian
e la feccia comunista,
ch’era piena de por can
e nemen ormai sperava
che ce fossa ch’iaiutava.
Ansi, c’eren anca quei
ch’invec i scomunicava.
En te devi mett’a rida
se te dich che dop la guerra
la miseria fava strida.
Acse adess che c’è la crisi
me so quasi mess a piagna
quand ho vist malé in tla piassa
a pasé ma na ragassa
sa la gonna a tela ragna,
cum se fossa nutta a Urbin
a caval sopra d’un mul.
E vicin sc’nera tre quattre
sa i calson tutti bugati
e le topp anca in tel cul.
E ho pensat ch’è propri vera
quel c’diceva cla sentensa
che la storia en è de pietra:
qualca volta s’torna indietra.
Anca s’cé na differensa,
perché la miseria nostra
en avevi propri bsogn
da gì in piassa a mettla in mostra.



Della serie: Quel c’marcord d’Urbin


Traduzione

Non ti devi mettere a ridere
se ti dico che dopo la guerra
la miseria faceva stridere.
Chi non lavorava nel Comune
oppure per l’Università
in triste destino era perduto
e te lo dico senza bugia:
io mio padre poco l’ho veduto,
perché se volevamo mangiare
gli toccava solo d’emigrare.
Mi ricordo che se andavi in piazza
Urbino era piena di gente
dal mattino fino a tarda sera,
ma nessuno faceva mai niente.
Di quei cari tempi ormai andati
mi ricordo come fosse oggi
che per strada ce n’erano tanti,
con maglie e pantaloni strappati,
che raccoglievano dalla terra
tutte le cicche ancora fumanti.
Non ti devi mettere a ridere
se ti dico che dopo la guerra
la miseria faceva stridere.
Mi ricordo che i cattivi e i buoni,
di quei giorni ormai tanto strani
che oggi abbiam perso di vista,
s’erano divisi in due fazioni.
Quelli ch’erano democristiani
e quella di quei poveri cani
della maramaglia comunista,
che oramai neanche ci sperava
che ci fosse un che gli aiutava.
Ed anzi c’erano quelli che
al contrario li scomunicava.
Non ti devi mettere a ridere
se ti dico che dopo la guerra
la miseria faceva stridere.
Così adesso che c’è la crisi
mi sono quasi messo a piangere
quando ho visto camminare in piazza
la ragazza coi vestiti lisi,
come se fosse arrivata a Urbino
a cavallo d’un ruvido mulo.
E vicino ce n’eran tre o quattro
coi pantaloni tutti bucati
e con vistosi rattoppi al culo.
Così ho pensato che fosse vera
una sentenza d’un certo Pietro
che il tempo avanza mentre la storia
qualche volta può tornare indietro.
Anche se qui c’è una differenza
perché la grande miseria nostra
non sentivi proprio alcun bisogno
di andare in piazza a metterla in mostra.