lunedì 25 novembre 2013

IL CANTO MANCANTE - Ultima parte



     E quando fu finito guardai Dante
che scevro di sorriso mi fissava
come di chi n’avesse viste tante,
     mentre s’udì d’abbasso uno c’urlava
appeso sulla cinghia come tutti,
ma che con gran veemenza protestava,
     gridando sotto a quei gran ceffi brutti
di non aver mai fatto male alcuno,
ma ricevendo solo scherni e rutti.
     Chiesi al poeta allor, ch’ero digiuno,
ed ei mi ragguagliò sul caso strano
di chi senza toccar bambino alcuno
     trovossi sì scoperto il deretano.
– Son quelli ch’han difeso e ch’hanno assolto
come costui ch’era carmelitano,
     qual fosse a loro stessi stato tolto
da quei perversi della peggior specie
il bel sorriso dei bambin dal volto,
     al posto del buon Dio ed in sua vece.
Maxime, tra superbia e presunzione,
di poter farlo sol con una prece.
     Un prete di Ferrara, Pietro il nome, –
nel proseguire mi spiegò il divino,
– scoprì per figlio un grosso ragazzone
     allor che la sua madre, quel meschino,
aveva da  bambina violentato.
E dopo aver negato per benino
     messo alle strette fu da un magistrato,
giustificando la rinnegazione
perché’l Signor l’aveva perdonato
     per mezzo dell’indegna assoluzione
di quello frate urlante ormai dannato.
Ma presto avrà la stessa punizione.
     Per questo – disse Dante – m’hai sognato.
– Che né perdono né salvezza avrà
colui che d’un bambino avrà abusato.
                                    Ma sol l’inferno per l’eternità – 

                                                       FINE

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