Grondano d’acqua i muri nella sera
per una pioggia intensa e assai dirotta
quando un leggero pigolio si leva
e si confonde tra l’intensa lotta.
Poi lo risento, almen così mi pare,
ed apro l’uscio nella notte scura.
C’era un gattino sotto le mie mura
sbarrati gli occhi e il pelo diseguale
rorido e infradiciato fino all’osso.
L’ho fatto entrare zuppo nell’androne
e l’ho rifocillato a più non posso.
Poi, quando fu passato l’acquazzone,
apro la porta e lui mi fugge via.
Il vento soffia e corre come un treno
le nuvole scansando tuttavia
e per domani ci sarà il sereno.
Il mondo per il sole s’è indorato
quand’apro e butto gli occhi allo zerbino
dove, come se fosse addormentato,
si trova lì adagiato un uccellino.
Le piume intatte e il collo reclinato.
E mentre delicato lo raccatto
presento chiaro d’esser osservato.
Sul muro dirimpetto ci sta un gatto.
Dicon che sia per la benevolenza
che lo fanno. Per un ringraziamento.
E che quel loro agir non è parvenza
ma il frutto d‘un reale sentimento.
E grande assai un dubbio mi pervade
guardando la contorta umanità
ch’affolla e muove per le nostre strade
nel segno della superiorità.
Parendomi che la riconoscenza
non proprio frutto sia d’intelligenza.
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