sabato 15 settembre 2018

L'EMIGRAZIONE




Sì, siamo stati emigranti. Ma è giusto il paragone?
Ho conservato il passaporto di mio padre. Tempestato di timbri d’ingresso.
Non entravi in Svizzera senza dimostrare dove avresti lavorato, dove avresti abitato e quando saresti andato via.
Dopo la guerra, pochi erano i paesi rimasti in piedi in Europa. C’era anche il Lussemburgo? Erano gli unici ad avere le fabbriche, gli impianti industriali e le infrastrutture, perdute dagli altri sotto i bombardamenti. Un ritmo produttivo gigantesco, per i pochi abitanti di quei paesi.
La Volvo svedese veniva in Italia a reclutare gli operai di cui aveva bisogno. E in Svizzera scorreva il sangue sulle mani callose.
Ma chi lavorava, aveva anche dei diritti. Ed era contento di stare in un paese civile. Non come gli schiavi nei nostri campi di pomodori.
Le leggi venivano rispettate. Perché chi sgarrava era immediatamente rimpatriato.
Il profitto di quel lavoro emigrante ha creato la loro ricchezza, e la rinascita dell’Italia.
Ma ci hanno regalato qualcosa?
Le parole di Manfredi nel bellissimo film “Pane e cioccolata” dovrebbero essere incise sul bianco marmo degli eroi. “Je damo già er culo, me pare che basti”.
È giusto il paragone?

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