mercoledì 7 gennaio 2015

L'ASCESA




Le punte dei bastoni
sfrigolan nel biancore
e scrocchian gli scarponi
sotto i pesanti rami
curvati dal candore,
come guantate mani
protese sul saliente.
Di tra i rugosi tronchi
s’intravede un lucore
e nella luce lieve
lo spigolo tagliente
dei monti con la neve,
sotto un azzurro greve.
L’aria senza calore
brucia ed arrossa il viso
e un suono sconosciuto
rivela l’ansimare
profondamente muto
di questo paradiso.
Non sento una mancanza
e non mi serve aiuto.
Orme di caprioli.
Stambecchi in lontananza.
Diversità di specie,
io solo della mia.
Camosci con pudore
che brucano licheni.
Nessuno fugge via
e  l’innocenza hanno
di chi non ha timore.
La crudeltà non sanno
e i miasmi di bassura
non giungono fin qua.
Non sanno la ventura
d’aver la libertà.
Sbuco in una radura.
Il bosco alle mie spalle.
Membra surriscaldate
dal lungo camminare.
Sotto di me la valle.
Riempio i miei polmoni
col gelido vigore
d’un’aria che non pesa
e non possiede odore.
Spianata biancotesa,
cime vertiginose,
cristalli scintillanti
dopo la lunga ascesa.
Grandiosità silente,
quassù, dove il passato
s’abbraccia col futuro
e incombe in un presente
dalla perenne quiete
che lascia senza fiato.
L’acqua delle cascate
ch’estinguono la sete,
del ghiaccio ha qui il colore.
Un’armonia sovrasta
i fiumi e le vallate
che l’animo riscalda
come d’estate il sole.
Mi volto e a malincuore
scendo per il sentiero.
Si sta facendo scuro
e il cuore di bambino
si mostra un po’ insicuro.
Quasi mi manca adesso
dell’uomo il suo calore.
Poi proprio a qualche metro,
già nell’uman consesso,
la vedo che strascina
dal collo agli scarponi,
cinquanta e più  visoni.
S’impuntano i bastoni:
voglion tornare indietro.

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