lunedì 23 gennaio 2017

IL FATO



Tra le facce sempre uguali
nello studio in processione
or s’accendono i fanali
della grande discussione
i cui lampi ed i cui strali
lancia la televisione
col bel giro di modelle
da lustranti passerelle.

Certo il tempo era inclemente
con la notte fredda e dura
ed un gran bel po’ di gente
segnalava la paura
nel terribile frangente
tra la neve bianca e scura.
E all’aiuto ch’era chieso
non si diede il giusto peso.

Non ci fu né un cingolato
né una rapida ascensione
d’elicottero attrezzato
di civile protezione,
ma un drappello solo armato
d’una cruda decisione.
Cui l’amaro suo destino
fu di giungere al  mattino.

Nella strada ricoperta
non si corre come in pista
ed il buio rende incerta
l’avanzata solo a vista
anche per la gente esperta
così prodiga e altruista.
Ma non vai molto lontano
se poi scavi con la mano.

Perso nella sofferenza
l’uomo è molto più dimesso
e rinuncia alla parvenza
che tra gli altri e con se stesso
ci sia tanta differenza,
prodigandosi indefesso.
Perché sotto quella neve
c’è la nostra vita breve.

Quando il mondo infine apprese
non fu cosa meno dura
perché allora si comprese
a qual forza la natura
tra le balze più scoscese
può di colpo dar la stura.
E salvarli tutti assieme
parve arduo e senza speme.

Ma se quando il tuo soccorso
è dovuto a un dirigente
lì per pubblico concorso,
che lavora in qualche ente
incapace di rimorso
per un popolo indolente,
io mi chiedo sconcertato
se sia stato solo il fato.

Guardo in quale condizione
quell’albergo di montagna
stava sotto un canalone
nella valle che ristagna
come il miro d’un cannone.
E la lacrima che bagna
spero vada anche a colpire
chi l’ha fatto costruire.

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